Gioia Tauro: può un sindaco chiudere il porto?

E’ la news che corre per tutto il globo su tutti i media e i social network. Poiché non è solo notizia, ma investe molti ambiti dello shipping, proviamo a dare una vision diversificata. Prima di tutto diciamo che il porto di Gioia Tauro, per sua infrastruttura e posizione geografica è definito un hub internazionale mediterraneo che logisticamente riesce a gestire flussi di merci (qualsiasi categoria iscritta nel codice internazionale merci pericolose e non) in/out, avendone capacità operativa tecnologica e di servizi, assicurandone “sicurezza” sia in facility portuali terra/nave e sia per interazioni nave/nave di fronte a qualsiasi minaccia per persone, navi, strutture e ambiente.

Una definizione/funzione operativa per un porto non può essere a desiderio alternato per un “volere” di un sindaco; se era operativo ieri, oggi lo dovrà essere anche domani! Se una operazione portuale che si svolge nell’interfaccia ship/port o il trasbordo da nave/nave di materiale chimico (usato e/o usabile come arma quando dispiegato/composto per azioni militari) viene definita  “minaccia” per quel porto-Stato costiero- Governo- Stato saranno messe in atto tutte le procedure del piano di sicurezza (Port Facility Security Plane) ed il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, sentito il Comitato Interministeriale (Esteri, Interni e Difesa), tramite l’Autorità Marittima deciderà il livello di sicurezza (marsec I, II o III) per mitigare la relativa minaccia. Ricordiamo che il nostro Paese Italia è paese contraente dell’International Ship & Port Facility Security Code (ISPS Code) e firmatario del Memorandum di Parigi; sicuramente e non solo relativamente a minacce per terrorismo e/o pirateria.

Senza entrare in merito alle strategie politiche del Governo Letta, l’Italia a dicembre scorso aveva dato la disponibilità a mitigare azioni operative per missioni di pace ed aveva offerto la possibilità di un trasbordo nave/nave di armi chimiche siriane in un porto italiano, in accordo con l’Onu e l’Organization for the Prohibition of Chemical Weapons (direttore Ahmet Üzümcü che ha riferito in Comitato interministeriale italiano giorni addietro). Tutti ricordiamo, da studi universitari di chimica, che si intende per “pericolo” la proprietà intrinseca di un agente chimico di poter produrre effetti nocivi alla salute e all’ambiente; poi gli agenti chimici vengono classificati secondo un potere aggressivo delle proprietà singole e dei composti. In Italia sono attese 560 tonnellate di agenti chimici (delle 1290 tonnellate dell’intero arsenale tra armi, componenti e altro materiale) identificate dal piano Onu-Opac; si tratta principalmente di iprite, ossia il mustard gas e sarin gas, contenuti in 60 container, che verranno “imballati e sigillati” secondo le procedure internazionali per garantire la totale sicurezza del trasporto su nave in base allo Ship Security Plane di quella nave; la maggior parte delle altre sostanze non sono combinate, per essere definite armi per un uso bellico.

Nel porto di Gioia Tauro il materiale chimico che arriverà dal porto turco Latakia a bordo della nave danese Ark Futura (o della nave norvegese Taiko) sarà trasferito sulla nave americana Cape Ray; quindi tecnicamente sarà una operazione “ship to ship” tramite sistemi di movimentazione rotabile e quindi senza toccate/manipolazioni da operatori, cioè senza “stoccaggio to shore”. L’operazione durerà 24/48 ore dall’inizio di febbraio prossimo e le operazioni di distruzione degli agenti avverrà a bordo della nave Usa Cape Ray, equipaggiata con due “field deployable hydrolysis systems”.

Queste sono le procedure operative tecniche per garantire ai massimi livelli di sicurezza tale operazione. Ma in Italia, poiché i processi si svolgono sui media e sui social net  appositi comitati “no…semper et comunque”, la decisione di utilizzare il porto di Gioia Tauro ha mandato su tutte le furie il sindaco della cittadina calabrese Renato Bellofiore, che teme per la sua vita:  “Non siamo assolutamente favorevoli, anzi siamo preoccupati, perchè non abbiamo avuto informazioni ufficiali e barcolliamo nel buio. Era opportuno che il ministro o gli organi competenti avvisassero le istituzioni locali.”; mentre, il sindaco di San Ferdinando, Domenico Madafferi, minaccia:

“Stiamo valutando di emettere un’ordinanza per chiudere il porto”. Il punto è sulle informazioni e chi cosa si doveva informare. Sicuramente ci sarà una convocazione da parte del presidente del Consiglio Enrico letta; al tavolo siederanno Governo, Regione, Sindaci, autorità portuale ed il terminalista del porto che gestirà col proprio personale le operazioni di trasbordo. Così, anche se un sindaco non può “chiudere” un porto avrà quella platea mediatica per dire cosa e quanto serve per poter fare il sindaco.

Oltre all’Italia, i Paesi più coinvolti nell’operazione marittima e nelle successive fasi di distruzione, con navi, mezzi di terra, personale alla missione congiunta Onu-Opac, sono: Usa, Russia, Gran Bretagna, Finlandia, Danimarca, Norvegia, Germania e Cina. Per quanto riguarda i costi, il Trust Fund, costituito per finanziare l’intera distruzione dell’arsenale chimico di Bashar al Assad, ha raccolto finora 12 milioni di euro (altri 20 sono stati promessi) da 17 Paesi più l’Unione Europea. L’Italia ha contribuito con 3 milioni di euro.

 

Abele Carruezzo