Riforma dei porti: arrivano le prime critiche e qualche ripensamento

ROMA – Palazzo Chigi vuol vederci chiaro sulla riforma Delrio: la discesa in campo dello staff governativo non è un buon segnale per il Piano strategico nazionale della logistica e della portualità, oramai preso per la giacchetta da re e vassalli. I tavoli di concertazione sono stati aperti ufficialmente: da un lato i dirigenti del Mit, guidati dal capo dell’ufficio legislativo Elisa Grande, dall’altro Antonella Manzione, potentissima consigliera del premier, ed il sottosegretario Luca Lotti.

Appare più che mai evidente l’irritazione del Governo poiché la pubblicazione della bozza del decreto ha aperto molteplici fronti caldi: dalla Liguria alla Sicilia, passando per la Puglia, i distretti portuali italiani intravedono un serio pericolo nella dicotomia tra Autorità di sistema e Direzioni di scalo, quest’ultime vincolate in tutto e per tutto alle prime.

Il primo tavolo di confronto aperto dal ministero ha visto la partecipazione di Assoporti, preoccupata principalmente da due aspetti: come ha avuto modo di sottolineare Pasqualino Monti, presidente dell’associazione degli scali italiani, i punti di sutura sono rispettivamente la differenza tra Autorità di sistema e Direzione di scalo nonché la durata del mandato dei futuri presidenti di distretto. “La durata del mandato-dichiara Monti- è giudicata troppo breve ed il ministero avrebbe acconsentito ad allungare il periodo sino a 4 anni, la durata prevista dalla legislazione vigente”.

I porti italiani che sono candidati a divenir Direzioni di scalo sono sul piede di guerra e Monti ha dovuto raccogliere le loro istanze, soprattutto alla luce dei recenti sviluppi. Durante la visita inaugurale alla nuova piattaforma logistica di Taranto, il Ministro Delrio ha dichiarato, infatti, di essere disposto a riconsiderare il porto di Bari quale Autorità di sistema: in Puglia si potrebbe pertanto passare da una a due Autorità di sistema, includendo proprio il capoluogo.

L’avvio di un simile scenario genererebbe un effetto domino principalmente nel Mar Tirreno dove Savona continua ad affilare le armi ed il porto di Carrara respinge la fusione con quello di Carrara. Nel frattempo, pochi giorni fa l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha ravvisato “criticità concorrenziali” nell’autonomia finanziaria delle Autorità portuali esistenti: “quel fondo dell’1% di Iva da restituire ai porti per un massimo di 90 milioni, non premia la concorrenza”.

Il criterio di ripartizione dei fondi non dovrebbe basarsi esclusivamente sull’Iva quanto su altre variabili quali, ad esempio, l’effettiva incidenza del traffico complessivo di ciascun porto rispetto a quello dell’intera portualità nazionale e alla sua evoluzione nel corso del tempo.

Non è detto, comunque, che la fase concertativa messa in moto da Palazzo Chigi possa esaurirsi in tempi brevi: all’orizzonte vi sono le future elezioni amministrative e Renzi non vuole arrivarci con un altro fronte aperto. Il nostro sistema portuale continua a viaggiare a fari spenti, la maggioranza dei porti italiani è commissariata e il rischio paralisi è quanto mai attuale. Sono questi i motivi che potrebbero spingere la cabina di regia governativa a varare un nuovo piano.

Stefano Carbonara