La seconda fase dei porti italiani è iniziata

ROMA – Una volta confermato l’indirizzo geo-politico della riforma Delrio dal “parlamentino” dei presidenti delle Autorità di Sistema Portuale, il Governo Gentiloni accelera e conferma la seconda fase di attuazione del proprio programma. I porti vanno rivisitati nelle loro funzioni operative e ri-classificati in tre categorie tali da giustificare la strategia centralizzata economico-marittima della nostra penisola.

Il Consiglio dei Ministri, su proposta di Maria Anna Madia, ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, ha approvato le nuove disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169, sulla riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le autorità portuali. I porti italiani sono ri-classificati in tre categorie: categoria I riguardano  i porti o specifiche aree portuali, finalizzati alla difesa militare e alla sicurezza dello Stato; alla categoria II appartengono i porti, o specifiche aree portuali, di rilevanza internazionale e nazionale, rientranti nelle Autorità di Sistema Portuale (AdSP); mentre nella categoria III rientrano i porti, o specifiche aree portuali, di rilevanza interregionale e regionale. Sostanzialmente, le funzioni dei porti italiani non sono più classificate in base ad un codice, ma stabilite dal loro piano regolatore, al fine di rendere più snelle le modifiche di utilizzo delle aree portuali rispetto ai cambiamenti dei traffici marittimi.

Pare che si voglia dare una decisa flessibilità sull’utilizzo di aree portuali, ma in realtà sarà più complicato perché sarà un “piano regolatore portuale” a decidere sulle funzioni e conosciamo tutti l’iter amministrativo con cui detti piani vengono elaborati, compilati ed approvati. Quanto tempo s’impiegherebbe per trasformare un’infrastruttura portuale alle esigenze di mercato e di traffico marittimo? Una strozzatura portuale del 1800, obsoleta e non più consona all’evoluzione tecnologica delle navi, può ancora decidere quali navi possono attraccare a determinate banchine? E un porto, pur appartenendo a un’AdSP, e avendo anche una funzione militare importante per il nostro Paese, potrà rispettare l’altra funzione, cioè quella commerciale e del diporto nautico di lusso? Interrogativi che il decreto non risolve.

Infatti, il Governo Gentiloni ha tenuto conto solo del riparto delle competenze costituzionali tra Stato e Regioni e la ri-classificazione dei porti va in questa direzione: distinzione tra porti nazionali e regionali, con la conseguente ripartizione degli oneri relative alle spese infrastrutturali. In più, il decreto prevede l’adeguamento delle funzioni del Presidente delle AdSP in materia di governance del lavoro portuale. Al Presidente dell’AdSP sono trasferite le funzioni che prima erano svolte dall’Ente gestore e l’estensione ai membri del Comitato di gestione dell’AdSP delle disposizioni vigenti in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico.

Le nuove norme prevedono anche che il Presidente dell’AdSP adotti il “piano” dell’organico del porto dei lavoratori delle imprese, articoli 16, 17 e 18 della legge 84/94, tenendo conto dei piani d’impresa, degli organici e della domanda di lavoro. Il Presidente dovrà garantire misure politiche di governance per migliorare i fattori di criticità del mercato del lavoro tramite un piano strategico che sostenga il reddito ai lavoratori, accompagnandoli per un massimo di cinque anni, nel rispetto delle leggi previdenziali; il piano dovrà prevedere anche formazione professionale, riqualificazione e/o riconversione del personale interessato. Se questa è la “rotta”,occorrerà impegno a poterla seguire.

 

Abele Carruezzo