Ancora voglia di Mediterraneo

Oggi, stiamo assistendo ad una parte del Mediterraneo in cui uomini, nazioni, paesi, stati si rendono conto che il “mare nostrum” è un luogo nel quale le civiltà prendono coscienza che nessuna terra o parte di essa Dio ha dato in esclusiva la “proprietà”, neanche a quella più laica e più potente. Il Mediterraneo è un mare tra le terre, un mare comune, che non appartiene in esclusiva a nessuna civiltà e non riconosce primati. In questo “mare” il mondo si incontra; impara a riconoscersi; impara a comunicare; accogliendosi, fa esperienza di reciprocità. L’Italia è un Paese Mediterraneo, non solo geograficamente: lo è per la storia, per la cultura, per le sue tradizioni che hanno permesso nel corso dei secoli di mantenere vivo quel dialogo che altri Paesi anche europei, per una serie di ragioni, possono vantare in misura minore. Questo dà all’Italia una possibilità, una grande opportunità, ma anche una grande responsabilità. Tutto questo ci permette di capire che cosa è una “terra meridionale”:  ambiente di pace, terra con le porte aperte, per permettere l’accoglienza di popoli di ieri e di oggi. Costruire un’area di co-sviluppo mediterraneo è uno dei grandi compiti del futuro dei popoli che hanno a cuore questo mare. Un’area dove la stessa modernità diventa riflessione orizzontale, consapevole dei rischi che accompagnano queste nuove crociate; prima per liberazione da ideologie, oggi per liberazione dalla schiavitù umana imposta dal sultano di turno. Questa coordinata dell’Italia, e delle regioni meridionali, ad essere “terra di mezzo” è un vantaggio: è una dimensione, sia geografica che umana, declinata al plurale. Noi meridionali non solo dentro l’Europa, ma anche dentro al nostro mare, con tutti i punti cardinali (Nord, Sud, Est, Ovest) e forti della posizione geografica, noi portatori di modernità e nuovo sud che fa la storia. Come? Noi dobbiamo attraversare il mare e non rimanere a terra. Il “mare” vuole essere solcato per acquistare vita e pace; e per fare ciò bisogna essere marinai cioè essere coraggiosi; avere le “navi” cioè strumenti che fanno grande l’intelligenza dell’uomo stesso, senza avere paura della crescita delle piccole eccellenze da liberare.

Abele Carruezzo