I costi della pirateria dentro la manovra finanziaria

Il fenomeno della pirateria è stato per molto tempo ignorato dalla Comunità Internazionale, al punto che oggi rimane solo il controllo delle acque dell’Oceano Indiano con forze navali che mettono in campo azioni imbarazzanti per gli equipaggi di navi che garantiscono l’approvvigionamento di materie prime per tutto l’Occidente.

I Governi si sono immersi in prassi di diritto internazionale e non riescono ad impostare delle strategie atte a liberare gli uomini imbarcati su tante navi sequestrate. Gli Armatori, si sono visti abbandonati e l’unica azione messa in campo, per evitare di pagare riscatti esosi, è la richiesta di imbarcare vigilantes armati.

Tre fattori di una ”sicurezza” della navigazione (mare, armatori e navi, governi) che mettono in crisi la stabilità di un’area importante per le rotte dei flussi mercantili. Tutto questo sta comportando un “costo”. Infatti, considerando solo la pirateria somala, notiamo che il fenomeno si è esteso a gran parte  dell’Oceano Indiano, con attacchi anche a navi in navigazione a 600/800 miglia nautiche dalla costa.

Da un rapporto degli assicuratori, nel 2010 sono stati pagati in Somalia 238 milioni di dollari (121 milioni in più rispetto al 2009) con un costo medio per riscatto intorno ai 5/5,5 milioni di dollari USA (16 milioni di dollari chiesti per il riscatto della Savina Caylyn della flotta D’Amato); a questo bisogna aggiungere i costi aggiuntivi che gli Armatori sopportano per la gestione del riscatto. Tutti questi costi si ribaltano in manovre finanziarie degli Stati e che i cittadini ignari sopportano per mantenere la flotta militare a presidio di quelle acque.

Una nota è d’obbligo: i P&I Clubs si sono tenuti fuori evidenziando la clausola di “mancanza di responsabilità armatoriale” in fatti di pirateria, invitando gli armatori stessi a coperture di kidnapping e ransom (rapimento e sequestro) per equipaggi di navi sotto attacchi dei pirati. Ecco che i prezzi delle assicurazioni per quelle rotte sono aumentati, con polizze/corpi superiori a polizze/merci, separando il “rischio pirateria” dalle clausole generali.

Molti hanno visto in questo ambiente la prosperità di business e momenti di crisi armatoriale sono diventati di sviluppo per gli assicuratori, al punto che oggi non si parla più di sinistro ma “ordinario atto di pirateria”. Dal punto di vista tecnico-finanziario, in caso di sequestro di nave, i pagamenti per la restituzione della nave e del carico hanno pesanti riflessi per le assicurazioni polizze/merci e non sulle polizze avarie/generali, come avviene a livello internazionale.

Intanto, la rotta tra il Canale di Suez ed il Golfo di Aden è diventata a rischio: ogni anno 30.000 navi mercantili solcano questa arteria del commercio globale, garantendo l’approvvigionamento energetico all’Europa. Secondo la Società italiana di analisi, la Dual Risk Management, durante l’anno 2010 sono state rapite 1.181 persone e sequestrate 53 navi, 49 delle quali al largo della Somalia.

Un’emergenza sia umana che economica, ha detto il Segretario dell’ONU Ban Ki-moon, che supera i 7 miliardi di dollari in termini di minori introiti per le società di navigazione, di costi di carburante per la deviazione di rotte, di spese per il dislocamento di navi da guerra e di costi aggiuntivi per polizze assicurative.

E l’Italia si trova in una vera e propria emergenza con i suoi marittimi e le navi sequestrate e con le cittadinanze impegnate a manifestare in piazza per tenere alta l’attenzione e per solidarizzare con i marittimi tutti.

Abele Carruezzo