UE: nuove regole per le attività offshore

Proteggere il Mediterraneo da parte dell’Unione Europea è un imperativo dettato dalla Convenzione di Barcellona. Dopo i danni  dell’inquinamento marino, a seguito del disastro del Golfo del Messico, unico nella storia mondiale delle attività marittime, e dopo l’incaglio della Rena sulla Reef corallina della New Zeland, la UE intende applicare la Convenzione di Barcellona che tutela tutto il Mediterraneo contro l’inquinamento da attività di esplorazione e sfruttamento offshore.

E’ da sottolineare che queste attività marittime sono in aumento in tutto il Mediterraneo, in particolare nel Medio e Basso Adriatico; quest’ultimo bacino ha una particolare caratteristica orografica di una “sea-way” che scorre in una mare “chiuso”, come appunto è il Mediterraneo e quindi a forte rischio di inquinamento sia della fauna che della flora marina.

Ricordiamo che l’Unione europea è parte contraente della Convenzione di Barcellona, alla quale hanno aderito Italia, Grecia, Spagna, Francia, Slovenia, Malta e Cipro, insieme ad altri 14 paesi del Mediterraneo che non fanno parte dell’Ue. Il commissario Ue all’Ambiente, Janez Potocnik, ha affermato che il protocollo “offshore”, pur prevedendo delle norme e condizioni standard per poter installare piattaforme (costruzione, autorizzazione, capacità finanziaria da parte delle imprese e soprattutto competenze tecniche, esercizio di attività di perforazione ed estrazione petrolio e gas),  forse va rivisto proprio alla luce degli ultimi incidenti.

Poiché, come sempre per le attività marittime, l’ambito è sempre internazionale, il Commissario Ue, ha aggiunto che si farà garante di un iter legislativo da condividere con i partner del Mediterraneo che non fanno parte dell’Ue, al fine di garantire la sicurezza delle attività petrolifere e di gas, per assicurare una migliore tutela del “nostro mare e dei suoi utenti”.

Per questo, la settimana scorsa, la Commissione europea all’Ambiente ha proposto nuove regole per la sicurezza degli impianti offshore di gas e petrolio, prevedendo il risarcimento dei danni ambientali nel raggio di 370 km dalla costa da parte delle imprese responsabili; queste regole potrebbero entrare in vigore per gli impianti esistenti, già dal 2014, ha affermato Potocnik.

L’Italia con i suoi 123 installazioni è al terzo posto, dopo la Gran Betragna e l’Olanda; mentre le operazioni di trivellazioni interessano Cipro e Malta più o meno a diverse profondità. Le novità delle regole europee, ha detto il Commissario Potocnik, riguardano le imprese impegnate in questo settore:

“Le licenze saranno rilasciate solo ad operatori con capacità tecniche e finanziarie per garantire la sicurezza delle attività offshore e la protezione ambientale; le imprese sono obbligate a redigere un rapporto che include la valutazione dei rischi e un piano di emergenza prima di partire con le attività; le soluzioni tecniche critiche per la sicurezza saranno  sottoposte alla valutazione di terzi, prima e dopo l’inizio della produzione;

le autorità nazionali sono responsabili dei controlli di sicurezza e se le compagnie non rispettano gli standard rischiano sanzioni, fino al fermo-attività; le compagnie sono pienamente responsabili dei danni ambientali causati a specie marine protette e habitat naturali, incluse le acque fino ad un limite di 370 km dalla costa”, ha ribadito il Commissario Ue. Infine, ha concluso che, secondo le valutazioni della Commissione Ue per l’Ambiente, un incidente di grande portata nelle acque Ue ha un costo stimato fra i 205 e i 915 milioni di euro l’anno.

Abele Carruezzo