Europa 2013- 2020: tagli alla portualità europea?

In questi momenti sono in corso gli incontri bilaterali fra i Capi di Governo dei Paesi della UE per cercare di ristabilire un accordo che sia “equo” per tutti e per tutti i settori, se effettivamente si vuole una “crescita” competitiva di tutta l’eurozona ed uscire definitivamente da questa crisi che attanaglia il presente senza garanzie per il futuro. Nessuno si aspettava la dichiarazione del Ministro tecnico per gli Affari europei, Enzo Moavero, del governo Monti, europeista per definizione, di applicare il “veto” sul programma pluriennale, 2013-2020, della UE, qualora non venissero rispettati gli accordi assunti nei mesi precedenti.

Sostanzialmente, questo programma fissa i capitoli di spesa dell’Ue per tutti i sette anni di programmazione, e cioè dai fondi per la coesione a quelli strutturali, dal sostegno allo sviluppo agricolo a quello per le infrastrutture, dalla ricerca e sviluppo alle spese amministrative delle istituzioni europee stesse. I 27 Paesi contribuiscono, in base a delle variabili concordate, a questo bilancio; poi da Bruxelles, la maggior parte di questi soldi, viene distribuita per finanziare progetti di ogni tipo; vi è un “però”: ci sono Paesi che danno molto e Paesi ricevono poco e da qui ne scaturisce una diatriba che dura da giorni e prenderà tutto questo fine settimana. In questo ambito, i porti europei temono un taglio del budget UE destinato alle infrastrutture di trasporto.

Proprio la Germania e la Gran Bretagna si sono accaniti a chiedere alla Commissione europea i maggiori tagli, quasi del 6% rispetto al precedente periodo; nello specifico, Londra vuole ridurre i finanziamenti per trasporti, energia e telecomunicazioni. Tra l’altro, poi, proprio la Germania e la Gran Betragna sono i Paesi che ricevono già un rimborso da Bruxelles per alcuni fondi Ue non utilizzati. Da qui le preoccupazioni della European Sea Ports Organisation (ESPO) per esortare tutti i leader europei affinchè salvaguardino il budget destinato alle infrastrutture di trasporto; si tratta di non intaccare le risorse comunitarie per complessivi 31,7 miliardi di euro previste per gli investimenti nelle infrastrutture di trasporto europee nell’ambito del quadro di finanziamento comune Connecting Europe Facility (CEF).

La stessa preoccupazione è stata esposta dall’European Federation of Inland Ports (EFIP), per evitare di vanificare due anni di trattative fra Stati membri  per progettare una mobilità interna all’Europa sostenibile ed efficiente per soddisfare la crescente domanda di trasporto  e di collegamento tra le nazioni, le modalità e i nodi di trasporto. Per il segretario generale dell’ESPO,  Patrick Verhoeven, “…attualmente, la battaglia sul bilancio sembra vertere sul trasporto e sulle altre politiche come quelle per la coesione e l’agricoltura. Dobbiamo però tenere presente che i progetti per le infrastrutture di trasporto non sono solamente al servizio del settore dei trasporti e dei suoi stakeholders. Una rete di trasporto europea senza soluzione di continuità – ha evidenziato Verhoeven – in primo luogo rafforza la coesione interna dell’UE e facilita molti altri settori, inclusa l’agricoltura.

I porti marittimi sono ad esempio le porte principali per le esportazioni dei prodotti agricoli dell’UE. L’utilizzo dei finanziamenti UE per integrare i porti nella TEN-T – ha concluso segretario generale dell’ESPO – andrebbe quindi anche a beneficio delle politiche per la coesione e per l’agricoltura”. A questo grido di allarme, si sono uniti altre realtà come le comunità portuali olandesi, francesi, portoghesi, spagnoli e soprattutto come la nostra Assoporti. Ancora una volta, non si comprende che la “complessità” di una unione di popoli non va affrontata tecnicamente e solo con approcci ragionieristici; infatti, per la Grecia, la Ue chiede di uscire dalla crisi affrontando solo manovre economiche, come è successo per l’Italia, Spagna e Portogallo; mentre la questione va affrontata con modalità politiche.

Non abbiamo ancora la forma degli Stati Uniti d’Europa, ma di un gruppo di paesi che hanno interessi divergenti; cerchiamo continuamente punti di mediazione e non abbiamo, oggi, una strategia comune per azioni di salvataggio di Paesi, come fu per l’Irlanda, David Cameron ci pensi! Non si voglia quello che il presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso, di fronte alla plenaria del Parlamento europeo, ha detto convinto del fatto che sia in gioco “la stabilità e la prosperità dell’Europa”, visto che si sono spesi miliardi per salvare le banche.

 

Abele Carruezzo