Sciopero dei portuali: siamo ad una svolta?

Premesso che  si sciopera in determinato settore per migliorarne le condizioni di lavoro, non sappiamo, almeno dai discorsi dei politici,  se ancora all’Italia interessa rilanciare  la sua portualità e se siamo ancora convinti che un “porto” per un territorio è “sistema” di sviluppo finanziario, economico ed occupazionale. La dimensione globale dei mercati e degli operatori in questo settore così nevralgico per un territorio marittimo rende sempre più complesso per una Autorità Portuale governare le giuste scelte di politica portuale, sia quando si tratta di “selezione” dei futuri concessionari, sia quando si parla di sviluppo delle attività di impresa portuale traguardando obiettivi almeno di medio raggio (infrastrutture e servizi).

Solo in Italia la riforma dei porti e della portualità si incardina in molti provvedimenti contenuti in vari decreti come Salvaitalia, Crescitalia e Sviluppo. Ultimamente il percorso della portualità italiana si sta incentrando sul teorema “competitività di sistema” che vuol dire tutto e contemporaneamente niente, o “balle” come qualche politico stellato direbbe oggi. Per i sindacati, desiderosi di difendere i posti di lavoro portuale, si intende introdurre ulteriori strumenti di gestione, pianificazione e realizzazione delle infrastrutture portuali e perfezionare le regole di mercato delle imprese che operano all’interno dei porti.

Infatti, il decreto di legge in discussione, parla di sistemi logistico-portuali, capaci di pianificare e razionalizzare i porti, per dare, in un secondo momento, quell’ “autonomia finanziaria” tanto richiesta dalle Autorità Portuali. Fra le tante modifiche proposte da tale decreto, in Senato sono riusciti ad affermare che i servizi “tecnico-nautici”, essendo di interesse generale ed estremamente specialistici, non possono essere assoggettati ad una concorrenza selvaggia nè di mercato e né per il mercato. Senza entrare nel merito che ha indotto i sindacati di categoria a indire e realizzare lo sciopero di questo 8 novembre, soprattutto sul rinnovo del contratto e sulla diatriba annosa dei lavoratori delle A.P, ci preme sottolineare che nel testo di riforma della portualità italiana, permangono delle criticità legate alla limitazione dei compiti e delle funzioni attribuite al Comitato Portuale.

Non ci pare che per sburocratizzare le pratiche e procedure basti dare più poteri ai presidenti; come pure, per velocizzare le pratiche e per non ingolfare il lavoro dei comitati portuali, ed impegnando i presidenti a deliberare rilasci di concessioni demaniali marittime e quelle relative all’esercizio di imprese portuali inferiori ai quattro anni, significa rendere più moderna una A.P. In questo caso, lasciare la decisione al solo presidente non significa essere moderni e flessibili, ma accentrare i poteri su singola persona senza controllo e trasparenza; mentre, in questi casi, è importante rispettare il comitato, come recita la 84/94, in quanto espressione del territorio, e soprattutto su queste materie specifiche che riguardano ricadute occupazionali e spesso contrapposizioni di carattere sociale.

Un altro punto critico, di non facile interpretazione, riguarda le nuove disposizioni inerenti al Piano Regolatore Portuale e la non chiarezza circa le distinte attribuzioni all’Autorità Marittima e A.P. di funzioni di controllo e regolamentazione tecnica ai fini della sicurezza delle attività portuali. Intanto, la politica è impegnata in virtuali tesseramenti, in suddivisioni di partiti, con comunicati twittati e socializzati dai media su “personalismi” invece di leggere una realtà in difficoltà sempre più complessa.

 

Abele Carruezzo