UE vieta la demolizione delle navi sulle spiagge dell’Asia meridionale

BRUXELLES – Anche se l’Europa si sta impegnando per vietare agli armatori che hanno iscritte le proprie navi nei registri della UE la demolizione sulle spiagge dell’Asia meridionale, il fenomeno è ancora vasto ed è  pagato a caro prezzo sia sul versante umano che quello ambientale.

Cantieri di demolizione della UE stanno ancora aspettando il regolamento delle certificazioni che autorizzazioni per esercitare in sicurezza la demolizione delle navi e del loro riciclo. Intanto,  per tutto il 2014, 1.026 navi sono state demolite, dopo essere state spiaggiate lungo la costa dell’India, in particolare del Bangladesh e del Pakistan. Questi dati sono stati forniti dalla NGO Shipbreaking Platform, un’organizzazione che si batte per la fine di una simile pratica di demolizione. Pratica pericolosa soprattutto per le persone che vi lavorano (la maggior parte in nero e minori), per la salvaguardia dell’ambiente e per la tutela paesaggistica delle coste.

Petroliere, navi da crociera ed altre vecchie navi, per la maggioranza europee, vengono fatte arenare e demolite sulla spiaggia; pezzo per pezzo viene smontato da lavoratori non specializzati che utilizzano solo lo strumento della fiamma ossidrica e tutti i liquidi petrol-chimici rimanenti, pericolosi e  inquinanti vengono riversati in mare col sopraggiungere dell’alta marea. Da uno studio dell’Istituto Tata di Scienze Sociali a Mumbai, si stima che 470 lavoratori sono deceduti negli ultimi venti anni in incidenti in Alang-Sosiya, una spiaggia cantiere per demolizione più grande del mondo, in Gujarat. Il Commissario UE per l’ambiente e gli affari marittimi, Karmenu Vella, ultimamente ha ricordato che una simile demolizione delle navi è “una pratica vergognosa quella di far arenare navi europee per la loro demolizione sulle spiagge indiane”.

A tal fine, il Commissario UE si sta impegnando affinché  le navi registrate UE vengano demolite in strutture sostenibili ed i cantieri preposti devono essere registrati in un elenco la cui pubblicazione è prevista il prossimo anno. In questo registro, molto probabilmente, oltre ai cantieri della UE,  saranno iscritti anche i cantieri della Cina, Turchia, Nord America, con l’esclusione dell’Asia meridionale. Si spera quanto prima, se si vuole mettere fine ad un tale mercato scadente  del riciclaggio di pezzi di navi demolite.

Abele Carruezzo