World War globalization petrolio

Vienna. L’OPEC Plus, finalmente dopo quattro giorni difficili, ha raggiunto un accordo per tagliare la produzione petrolifera di 9.700.000 barili/giorno a maggio e a giugno prossimi. L’accordo del 12 aprile 2020 è stato definito di “principio” ed ha messo fuori gioco gli Stati del G20, incapaci di redigere un piano di sintesi tra sovranismo e solidarietà. La riduzione della produzione di petrolio, secondo l’OPEC Plus, prevede che la produzione, da luglio fino al 31 dicembre 2020, passerà a 8.000.000 b/g,  per poi diminuire a 6.000.000 b/g da gennaio 2021 fino al 30 aprile 2022. Nel periodo precedente l’attuale crisi, i membri dell’OPEC Plus estraevano circa 45.000.000 b/g di petrolio (greggio + liquidi associati) degli oltre 100.000.000 b/g prodotti a livello globale.

Per liquidi associati s’intende la somma di greggio/crude + liquidi separati dal gas naturale (natural liquids gas NLG) + liquidi condensati naturali (Gas Condensate). Più precisamente, tra gli idrocarburi liquidi che vengono estratti dal gas (NGL) , i più importanti sono l’etano (con cui si fa la plastica) ed il propano, usato per il riscaldamento; mentre per liquidi associati, si intende la somma di liquidi separati e liquidi condensati.  La Federazione Russa con l’Arabia Saudita ha implementato tagli consistenti nella loro produzione già da quest’ultimo primo aprile. Tutto inizia nel 2016, quando l’Opec decide di tagliare a produzione con l’obiettivo di risollevare le quotazioni (allora di 30$/barile) a causa dell’eccesso di offerta; questo favorisce la Russia che si unisce al cartello creando l’OPEC Plus.

Nel 2018 si ha un’altalena nei prezzi del barile che crescono, a causa  delle sanzioni Usa all’Iran; e verso la fine dell’anno 2018, le quotazioni crollano nuovamente  e l’OPEC Plus decide la strategia di stabilizzare i prezzi dell’oro nero attraverso il controllo delle quote di produzione con piani stabiliti e concordati. Nel 2019, l’OPEC Plus si impegna per coinvolgere più paesi, quelli dell’OPEC (Algeria, Angola, Arabia Saudita, Ecuador, Emirati Arabi Uniti, Gabon, Guinea Equatoriale, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Qatar, Venezuela) e quelli non – OPEC (Azerbaijan, Bahrein, Brunei, Kazakhstan, Malaysia, Messico, Oman, Russia, Sudan, Sud Sudan).

I principali produttori di greggio che non appartengono all’OPEC Plus (Norvegia, Canada, Brasile, USA) al momento non hanno una posizione chiara e i loro tagli sulla produzione di greggio non sono frutto di accordi, ma di mercato in base ai prezzi. In conformità a studi pubblicati il 31 marzo scorso, la domanda globale di petrolio dovrebbe crollare – previsione che  si è rivelata reale – con il calo più grande mai verificatosi in molti settori, dall’agricoltura all’industria per finire ai trasporti, aerei, marittimi e terrestri. Gli stessi analisti sono convinti che l’accordo raggiunto del 12 aprile 2020 riduca in maniera significativa la sovrapproduzione di barili presenti nel mercato petrolifero, ma non l’annulla;  e  poi non riporterà il mercato in equilibrio, anche per il fatto che i tagli promessi dai produttori non- OPEC non sono vincolanti.

La ripresa della domanda di petrolio dipenderà anzitutto dai tempi che le misure sanitarie e la ricerca impiegheranno per fornire una risposta alla pandemia e se si raggiungerà un accordo tra USA, Russia e Cina con l’Italia nel ruolo da mediatore tra l’Occidente e l’Oriente.  Nel dopo Covid – 19, sicuramente il mercato dell’energia cambierà: società americane o europee (asset di produzione e di consumo) industriali e post o del new green deal, concentreranno e centralizzeranno il capitale puntando più sulla qualità, ridimensionando le risorse umane con una disoccupazione crescente.

 

Abele Carruezzo