Il Prof Abele Carruezzo dialoga con Claudio Masciopinto, autore di “Custodi di luce: antropologia, narrazioni e rappresentazioni di uomini e fari”

Brindisi-“Una storia della nostra storia”, quella dei fari, ha detto in apertura di serata il Prof. Giacomo Carito della Società di Storia Patria per la Puglia. Fari, luoghi del territorio costiero che hanno interessato la nostra comunità di mare e che vanno recuperati  per rendere memoria alla storia, come il faro di Punta Penna  che era sito lungo la costa nord di Brindisi.

Dopo i saluti del presidente del Propeller  Club Port of Brindisi, Adriano Guadalupi, Giacomo Carito ha invitato il Prof Abele Carruezzo, docente di Navigazione e Trasporti Marittimi e direttore scientifico della rivista specialistica IL NAUTILUS,  ad aprire il dialoghi con il Dott. Michele Claudio Masciopinto, autore del libro “Custodi di luce: antropologia, narrazioni e rappresentazioni di uomini e fari”. Di seguito  pubblichiamo il brevissimo  dialogo tecnico sui fari e sulla loro funzione in navigazione da parte del Prof Abele Carruezzo e le note relative agli obiettivi della ricerca di antropologia marittima del Dott. Michele Claudio Masciopinto.

Dialoghi sui fari
Claudio Masciopinto è l’ autore di “Custodi di luce: antropologia, narrazioni e rappresentazioni di uomini e fari”. Noi lo ringraziamo perché ci ricorda che un “faro” è  luogo con i suoi “sensi e significati” di una narrazione culturale delle comunità marinare e marittime. Fari importanti non solo per l’uomo navigante , ma anche per l’uomo camminante; casa del mare che guarda il mare e dipinge un paesaggio unico, di frontiera e di cornice dell’anima; con le proprie relazioni pieni di un linguaggio, proprio, marinaro e marittimo.

L’atto del vedere è innanzitutto un atto creativo. Lo sguardo viene anche prima dell’atto della parola e possiede un valore laicamente miracoloso: aiuta a dare un senso all’esperienza, svela la presenza di problematiche irrisolte, nella vita come nella ricerca, offre la possibilità di interrogare la realtà, di rappresentarla e, a patto che l’attenzione sia desta, consente di fuggire dagli errori e da possibili luoghi comuni.

1.Vi è un modo diverso di guardare fari, torri, punte costiere, barche ormeggiate, barche al largo, onde frangersi sulla scogliera. Imbarchi, navigazioni guidate da fari cercando  il proprio “oriri”: navigar per lo ponente per trovar l’oriente; la ricerca dell’altro e di se stessi. Andar per mare è comportamento sociale (etica, estetica, economica e politica) strutturalmenteconnesso ad una soglia di una minima evoluzione tecnologica interna di una società discretamente evolutiva.La storia della navigazione è voler seguire passo passo la storia della evoluzione dello spirito umano nel rapporto con se stesso e con la natura. In una sola espressione “integrazione sociale”.

“Ripenso al faro, al suo fascino e al suo mistero, al suo rapporto con l’uomo e con il contesto marittimo. La lanterna si erge al ruolo di guida, di luogo dell’incontro e dell’arrivo, di simbolo di salvezza fisica e spirituale.Il mare unisce storie di popoli ugualie diversi, portolanando da un porto ad un altro culture che integrate realizzano  quel “ponthos”universale.  Luci antiche e moderne, lanterne che si accendono, guidandoci  lungo le nostre strade“rotte”;incroci non solo geografici, perché navigare tra i fari significa esplorare anche nell’architettura della pietra, nelle costruzioni ottocentesche nate sui resti di torri secolari.

2.La struttura della navigazione riguardava e riguarda  un’area geografica che implica delle relazioni tra cantieri, navi e sistemi e itinerari.  Due funzioni etnologiche tra la scena del mare  incentrata sulla navigazione e la scena antropologica dell’uomo – nauta, navigante e non camminante. Il mare diventa “territorio dell’uomo”,per cui va navigato, esplorato, definito e rappresentato in tutte le sue forme e “paesaggi”.La navigazione, il navigare implicano una relazione d’ambiente:la nau, (imbarcazione)  i nautes (navigazione e naviganti) e l’orienteering (come spirito nautico). Per l’uomo antico la sua concezione di “spazio- geografico “non era del tipo “cartografico”, ma dipendeva dai suoi “movimenti”, dell’esperienza pratica di viaggiare per terra e per mare, prendendo origine da un Punto di Partenza e sviluppandosi attraverso il Percorso.

Il concetto di “spazio” impegnava l’ odeporica, dal greco hodoiporikós,  aggettivo del sostantivo hodoiporía, che significa “viaggio” .In italiano la parola “odeporico” come sostantivo  denota il resoconto, la descrizione di un viaggio. Era un “cammino” unidimensionale, ovvero in forma soggettiva, individuale che si sviluppava attraverso un Percorso Lineare corrispondente all’esperienza diretta o a quelli degli altri uomini e le informazioni erano importanti per “lanare” port to port. (Il Portolano).Le  navigazioni con parametri empirici (Barefoot) consistevano:

Lettura di   “segnali provenienti dall’ambiente naturale”
Codificavano e stimavano  la ROTTA in basse ad oggetti cospicui (Torri e Fari)  Stelle e Sole.
La parola “rotta” stava e sta ad indicare una strada rotta, non una “via” delle viarum, solida, fondamentale – come dal francese “route”- ;poi latinizzata da “via rupta”, cioè una strada che si apriva e si solcava rompendola.Compassata, misurata attraverso un “compasso” naturale: associare ad una direzione, strada, rotta un segno naturale – un  vento – da cui la “rosa dei venti”, dei rombi, delle losanghe, dei lossi e quindi lox – dromos o percorsi lossodromici. Oggi si confonde con traiettoria – insieme di way point navigati- rispetto alla rotta che è essenzialmente un angolo

3. Con i fari possiamo dire che il navigante mette in pratica una primissima “rivoluzione”: da una luce statica – fuochi accesi – emessa da colonne e da torri a luce dinamica che portava una informazione e che quindi doveva essere custodita: custodi di luce che ha generato un Segnalamento marittimo: insieme di tutti i segnali diurni, notturni, luminosi, sonori e radioelettrici per l’ausilio e la sicurezza della navigazione.Teoricamente possiamo dire che si passa da una navigazione stimata ad una detection navigation cioè  alla navigazione rilevata. Ma chi sono questi Fari?I Fari sono luci di atterraggio, visibili a grande distanza, generalmente in muratura o in metallo, aventi luce di colore bianco.

La loro ottica può essere:Girevole intorno al proprio asse verticale per cui i settori ruotano di 360°;Fissa con schermi girevoli o feritoie per l’alternarsi della luce ed eclissi;Fissa munita di lampeggiatore per cui le luci e le eclissi sono periodicamente tramite il funzionamento della sorgente luminosa.Diversamente sono i Fanali: luci visibili a brevi distante – 5/8 miglia –  servono ad indicare l’entrata di porti, canali, i moli foranei, una zona navigabile, un pericolo isolato.

La loro luce può essere di colore bianco,rosso o verde; la loro ottica concentra la luce in un angolo verticale molto stretto.Poi vi sono gli aerofari ed aerofanali  e fari aeromarittimi.Per la navigazione i fari e tutti gli oggetti costieri devono rispondere a delle condizioni: essere cospicui. Altezza sul l. m. m. – altitudine – Portata : luminosa, geografica e nominale.Luminosa: la distanza massima alla quale può essere avvistata la sua sorgente luminosa (50 volte su 100);Geografica: la distanza massima alla quale è vista la sua sommità sulla linea dell’orizzonte di giorno. Nominale: è la portata luminosa in ambiente di visibilità meteorologica (10 miglia). Osservabili – riconoscibili – identificabili –  misurabili – rappresentabili. Osservati con misura cioè rilevabili con il proprio Azimùt.

4. Lo scenario urbano contemporaneo ci sta abituando a delle letture della realtà che ci circonda spostando il nostro interesse da quello geografico a quello topologico e viceversa, difficilmente da comprendere: è come passare velocemente dalla geo alla gaia.Il paesaggio di un faro, di una linea della costa marina, diventa come una frontiera  simbolica di confine e non solo;  è espressione di grandezza, potere, verità e bellezza. Espressione di una cultura antica; testimonianza di esperienze storiche, tecniche e soprattutto umane. E tutto questo lo si trova degnamente espresso nel libro del nostro amico e antropologo Claudio Masciopinto.

Un libro che è memoria di uomini, di architettura, di conoscenze scientifiche, di relazioni con  l’ambiente marino. L’invito a riflettere che visitare un faro significa cogliere lo spirito di un paesaggio sospeso tra terra e mare; ascoltare le voci dei suoi abitanti cogliendo il senso di una vita a “guardia del mare”, della navigazione e dei naviganti; afferrarne l’essenza nella quiete indisturbata dell’isolamento e della lontananza da tutto ciò che è “vissuto quotidiano”; comprendere il valore di una solitudine “piena”.

S.C.