A proposito della riforma della portualità

Riceviamo e pubblichiamo, dall’ing. Roberto Serafino, una nota tecnica ed alcune considerazioni sulla riforma della portualità italiana, nello specifico quelle relative al porto di Brindisi. L’ing. Serafino è esperto del settore portuale, già docente universitario e membro del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.

A proposito della riforma della portualità

I porti italiani rappresentano un settore cruciale per l’economia e per l’occupazione, sia direttamente che in termini di indotto, ma da un attento esame della situazione, risulta ormai del tutto evidente la necessità di una radicale riforma della portualità italiana.

Inizio da due concetti scritti nel mio ultimo articolo “A proposito del nuovo piano regolatore del porto di Brindisi”, pubblicato su “ILNAUTILUS” il 20 febbraio 2019.

1) i porti italiani (escludendo quelli turistici), essendo infrastrutture di primaria importanza strategica, sono stati sempre gestiti direttamente dallo Stato;

2) il porto di Brindisi sta andando in rovina.

E pensare che nel volume “La ricostruzione dei porti marittimi nazionali” redatto dal Ministero dei Lavori Pubblici a seguito del XVIII Congresso Internazionale di Navigazione, svoltosi a Roma nel settembre 1953, all’inizio del capitolo concernente Brindisi è scritto: “Il porto di Brindisi è l’unico del litorale meridionale adriatico italiano che possa dare sicuro rifugio a navi di grandi dimensioni. È uno dei principali dell’Adriatico per movimento di passeggeri.”
Si deduce che è da attribuirsi allo Stato la maggior parte delle responsabilità che stanno portando in rovina il porto di Brindisi.

Sorgono subito le domande:
questa situazione di degrado è limitata a Brindisi o interessa anche gli altri porti italiani? Perché si è creata tale situazione?

Cosa si può fare per porvi rimedio?

Negli anni 90, anche su pressioni della Comunità Europea, fu varata la riforma della portualità con la L. 84/1994, che introdusse le Autorità Portuali.

Si consideri la situazione attuale della “Portualità”: i presidenti delle Autorità Portuali (ora di sistema portuale) rispondono direttamente al Ministro; vengono scelti tra persone che dovrebbero avere specifiche competenze, mentre l’esperienza insegna che solo in rari casi sono state scelte figure adeguate ed in grado di svolgere il difficile compito, che spesso sono radicalmente condizionate dai poteri forti locali, in genere in contrasto con gli interessi del porto, con conseguenti disastri. Ad esempio, Brindisi è l’unico porto pugliese con caratteristiche “core” non riconosciute.

Né è da sottovalutare il fatto che tutti gli organici delle varie A.P. sono stati riempiti con figure senza alcuna formazione specifica, né ante né post, salvo alcune eccezioni.

L’Autorità portuale deve sovrintendere e coordinare i servizi che devono essere resi all’Utenza portuale; inoltre, dovrebbe provvedere all’ammodernamento o costruzione di nuove infrastrutture per cogliere le opportunità offerte dall’evoluzione dei traffici marittimi e dei mezzi di trasporto.

Il “dovrebbe” scaturisce da una serie di considerazioni, tra cui in primis il fatto che i tempi per la realizzazione di una nuova infrastruttura (nuovo piano regolatore o variante, fasi progettuali e realizzazione nel migliore dei casi non inferiori ad un decennio) e la complessità delle procedure mal si combinano con la durata del mandato dei presidenti delle Autorità Portuali (4 anni rinnovabili una sola volta).

Nel 2016 la riforma “Del Rio” ha finito per peggiorare una situazione già deteriorata: in particolare l’accorpamento di alcune Autorità Portuali ha reso più complesse e di fatto ingestibili situazioni già precarie; ad esempio, se già era complesso redigere un nuovo piano regolatore di un porto, oggi, visto che ogni porto ha caratteristiche uniche, appare praticamente impossibile redigere il piano regolatore di un intero sistema portuale.

In definitiva le Autorità Portuali sono diventate, di fatto, entità alla deriva e senza alcun controllo: bottino da spartire tra i partiti, con enorme sperpero di risorse finanziarie e spreco delle potenzialità offerte dal settore in termini di economia ed occupazione.

Il risultato è che vengono messi in atto solo interventi sporadici e casuali per cui i porti stanno diventando in genere “obsoleti” e non in grado di cogliere tempestivamente le opportunità che l’evoluzione del mercato dei trasporti marittimi prospetta.

Questo settore ha veramente un’importanza strategica prioritaria, e lo Stato, di conseguenza, per non abbondonarne tutta la gestione in loco (ossia alla completa anarchia), dovrebbe fare una scelta epocale per riprenderne il controllo.

Il primo provvedimento, da prendere prima possibile e di non difficile attuazione, è lo scorporo delle Autorità Portuali, accorpate tramite la riforma “Del Rio”: è evidente l’urgenza di tale provvedimento per alcune ADSP, e non a caso, ad esempio, è già stata reistituita la nuova Autorità Portuale di Messina.

Appare evidente che affinché lo Stato si faccia garante dello sviluppo della portualità e della logistica dell’intero Paese, integrato in una strategia europea, dovrebbe varare una vera e radicale riforma della “Portualità” (da non confondere con le Capitanerie di Porto), con prospettive a medio – lungo termine che, prendendo esempio da altri “Corpi” non militari, come la Polizia o i Vigili del Fuoco, si può schematizzare nei seguenti punti principali:

• Si dovrebbe istituire una struttura, snella e flessibile, con una serie di attività centralizzate, oltre quella di controllo rigoroso delle Autorità, con un “Capo”, nominato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, che dovrebbe rispondere al Ministro delle Infrastrutture;

• in ogni porto di primaria importanza vi dovrebbe essere un’Autorità presieduta da un Presidente, adeguatamente formato, selezionato e nominato dal Ministro (così come avviene oggi per i Questori), senza vincoli temporali, cui affidare il compito oltre che del sovrintendere alla gestione dei servizi da offrire all’Utenza portuale, anche di definire ed aggiornare le specifiche strategie di sviluppo del porto, nell’ottica nazionale ed europea, garantendo la continuità e la finalizzazione dell’iter di programmazione e realizzazione delle infrastrutture che si renderanno necessarie; dovrebbero essere aggregati i porti limitrofi (nessuno escluso) di importanza secondaria;

• tutto il personale delle A.P. dovrebbe essere selezionato tramite appositi concorsi, a carattere nazionale, e ricevere una accurata formazione iniziale, da aggiornare regolarmente;

• nel comitato portuale dovrebbero essere reinseriti rappresentanti delle parti sociali, in numero congruo.

È un compito lungo e difficile, ma certamente non impossibile, avendo a disposizione organismi di assoluta eccellenza, come il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici; tuttavia occorre innanzitutto e soprattutto una decisa e consapevole volontà politica che prenda a cuore le sorti di questo settore.

Concludo tornando sul caso “Brindisi”.

Brindisi è l’unica base logistica dell’ONU, ma utilizzata esclusivamente per gli aiuti umanitari in caso di emergenza.
La configurazione del nodo dei trasporti situato a Brindisi non ha uguali nel resto del mondo: nell’arco di 1 km sono presenti tutte le modalità del trasporto (porto, aeroporto –aperto ogni tempo e velivolo-, strade a 4 corsie, ferrovia a doppio binario), tutte le utilities (acqua, energia elettrica, etc.), banda larga, amplissime aree disponibili per insediamento di aziende operanti nel settore della logistica, forza lavoro qualificata; in altri termini qualsiasi tipo di merce vi potrebbe giungere, essere lavorata –in toto o in parte- e ripartire, con ogni modalità di trasporto.
Ciò non avviene soprattutto perché il porto è ingessato dal vecchissimo piano regolatore in vigore; in definitiva, è indispensabile un nuovo piano regolatore che ridisegni il porto, valorizzandone le caratteristiche, in particolare come fulcro del nodo logistico.

È facile intuire che tale compito, se svolto da un team con la competenza adeguata, attirerebbe investimenti ingenti (miliardi di €), con decine di migliaia di nuovi posti di lavoro, con piena ecocompatibilità, e con un notevole impatto sullo sviluppo dell’intero Mezzogiorno.

Ing. Roberto Serafino