Adesso Trieste critica l’accordo di programma presentato dall’amministrazione comunale e propone un parco eco-produttivo con spazi in concessione

Il nuovo Porto Vecchio deve contribuire a risolvere i problemi della città, non produrne di nuovi

“Quando la politica prende scelte favorevoli a interessi particolari e totalmente contrarie al buon senso e all’interesse generale, ècostretta a produrre una quantità di annunci trionfalistici e proclami epocalisuperiore alla – comunque già alta – media. È il caso della firma dell’Accordo di Programma per la trasformazione dell’area di Porto Vecchio: dopo decenni di attesa la montagna della politica triestina ha partorito il seguente topolino: in una città con 12.000 alloggi vuoti (di cui 2.000 pubblici) e 1.800 fori commerciali sfitti, il Porto Vecchio viene concepito come il “quarto borgo”, conuna zonizzazione urbanistica che prevede fino al 70% di residenzae altre funzioni legate al commercio e ai servizi, ad esclusione dei due magazzini per cui la Regione prevede il trasferimento dei propri uffici, scelta che porterebbe allo svuotamento di diversi altri immobili in centro”.

Intervengono cosìGiulia MassolinoeRiccardo Laterzaportavoce diAdesso Triestesul tema dell’accordo di programma che l’amministrazione Dipiazza ha presentato sullo sviluppo del Porto Vecchio di Trieste.

“Trasformare Porto Vecchio in un nuovo rione non è una soluzione ai problemi, rischia anzi di essere parte del problema, poiché il suo anche parziale “riempimento”genererebbe ulteriori vuoti nel resto della città. Quello del Porto Vecchio è per noi uno spazio in cui è necessario insediare unparco eco-produttivo, anche grazie alla spinta di investimenti pubblici come quelli di Next Generation EU (il tanto discusso Recovery Fund), un’area cioè che può ospitare attività industriali e artigianali ad alto contenuto tecnologico, integrate non solo tra loro, ma anche con la città, dal punto di vista dell’uso delle risorse, della logistica, della formazione e della ricerca. Uno spazio aperto a nuove idee e imprese, capace di produrre ricchezza e di distribuirne i benefici a tutte le triestine e tutti i triestini”.

“Inoltre, piuttosto che prevedere la mera vendita degli immobili sarebbedi gran lunga preferibile ragionare in termini di concessione e comodati d’uso, in modo da governare le destinazioni d’uso dei beni e dell’area nel suo insieme. Ciò assicurerebbe un introito costante nel tempo anziché un incassouna tantum, oltre che il controllo pubblico sulle linee di sviluppo di Porto Vecchio. Altra opportunità sarà quella di ampliare le zone franche internazionali ed extradoganali riportandole nell’area e non solo lungo la linea di costa”.

“Le decisioni fallimentari sul Porto Vecchio sono la cartina di tornasole di un’Amministrazione che, come ha ribadito più volte il Sindaco Dipiazza, per il 2021 aspira a “tornare al 2019”.Adesso Trieste vuole invece guardare al futuro con concretezza, serve un nuovo orizzonte produttivo, servono posti di lavoro di qualità, serve affrontare con serietà la crisi climatica: per queste ragioni a Trieste serve una nuova Amministrazione”.