Propeller Club Brindisi: Zizzi sul Pug

Il presente scritto contiene le osservazioni elaborate dal “The International Propeller Club – Port of Brindisi” sul “Documento Programmatico Preliminare del Piano Urbanistico Generale del Comune di Brindisi”, approvato con Deliberazione del Consiglio Comunale n.61 del 25/08/2011.

Con avviso pubblico del 16/09/2011, il Comune di Brindisi comunicava l’avvenuto deposito del predetto documento e che dalla data dello stesso decorreva il termine di 90 giorni, entro il quale chiunque ne abbia interesse, può presentare le proprie osservazioni.

Il Documento Preliminare di Valutazione del PUG, recentemente diffuso dal Comune di Brindisi, contiene una serie di indicazioni sul futuro del nostro territorio, sulle quali, doverosamente, ciascuno di noi è tenuto a farsi una propria idea e, possibilmente, a manifestarla, specie se opera all’interno di associazioni o enti, al fine di offrire un contributo costruttivo.

Proprio con questo spirito, non si può non constatare come il documento mostri, da parte dei suoi redattori, una preoccupazione ed una finalizzazione su temi particolari e contingenti, che finiscono per condizionarne le finalità generali e di strategia complessiva.
Nello sforzo di  conseguire tale obiettivo il documento redatto esorbita persino dai  limiti di competenza imposti dalla legge e dalla normativa europea e si occupa di problemi e tematiche la cui risoluzione è per legge demandata ad altra amministrazione dello Stato.

Pur non potendo negare il ruolo primario del Comune nella elaborazione della pianificazione del proprio territorio, si deve e si può ritenere che tale ruolo vada esercitato nelle forme e nei modi previsti dalle leggi vigenti, all’interno delle quali sono individuati i meccanismi di raccordo e di concertazione che consentono, facendo salva la necessità di rispettare detto ruolo primario, il miglior raggiungimento delle finalità di interesse pubblico.

Tale premessa metodologica, appare tanto più appropriata nella delimitazione delle potestà in materia portuale, in considerazione del fatto che in tale campo, nel quale è precipua la necessità di “stare dietro” ai veloci tempi di evoluzione, su scala mondiale, delle esigenze in materia di trasporti e di economia, è richiesta l’adozione di strumenti destinati ad una vita molto più breve, rispetto agli strumenti programmatori generali del Comune.

E, nell’affermare ciò, ci si rende perfettamente conto della  contraddizione rappresentata dal fatto che il vigente Piano Regolatore Portuale del Porto di Brindisi è datato 1975, quindi ben più “anziano” del vigente P.U.G.

Tornando alla premessa sui diversi ambiti di competenza, dunque, si rammenta che ai sensi dell’art. 5 della L.84/1994  l’assetto complessivo del porto, comprese le aree destinate alla produzione industriale, all’attività cantieristica ed alle infrastrutture stradali,  viene delimitato dal piano regolatore portuale, la cui adozione è espressamente demandata al comitato portuale.

Inoltre ai sensi dell’art. 8 della Legge regionale 20/2001, la competenza dei Comuni nella redazione dei Piani Urbanistici Generali è limitata al territorio comunale (e non ad un’area di competenza di altra amministrazione); da ultimo il provvedimento adottato in Consiglio Comunale appare in   contrasto con l’art. 4 comma 2 della Direttiva Europea 2009/73/CE, che impone agli Stati membri di non  adottare comportamenti discriminatori in materia di infrastrutture energetiche.

In breve, passando alle  valutazioni di merito, la pianificazione urbanistica di una città e del suo territorio non può essere asservita alla esigenza, a questo punto tutt’altro che solamente ideologica, di trovare nuovi argomenti di sostegno a posizioni che negli ultimi anni si sono fatte largo in soggetti che intendono la tutela dell’ambiente come una crociata autoreferenziale, quasi che tali interessi ambientali non possano piuttosto essere perseguiti in un quadro di compatibilità con tutti gli altri fattori che, solo in una visione organica, possono rendere possibile la costruzione di un futuro che sia sostenibile, per poter garantire la vita e il benessere sociale, economico e fisico di una comunità e dei suoi abitanti.

Non si può consentire che  un momento così importante per la città venga vissuto con una simile impostazione, che genera fatalmente divisioni e che contrappone coloro che impongono visioni quasi fideistiche della propria impostazione ambientalistica, a quanti tentano di proporre una analisi pragmatica e fondata sulla individuazione e “messa a sistema” di tutti i fattori produttivi, economici ed ambientali che  convivono sul territorio, che vengano individuati come compatibili col quadro normativo, ambientale ed economico e che, allo stesso tempo, siano necessari per garantire un adeguato livello di ricchezza, occupazione e infrastrutturazione.

Proprio per evitare che si verifichi una simile divisione e che venga imposta  una obnubilazione delle ragione a danno di argomenti concreti e di valutazioni tecniche, servirebbe un confronto pacato e serio.
E così, nelle proposte del documento si legge che nel porto  di Brindisi non c’è spazio per impianti energetici, e  pertanto viene ripresa l’idea di realizzare nel tratto di mare e di costa antistante la centrale Enel di Cerano una darsena, in cui allocare la discarica del carbone e l’eventuale rigassificatore.

Andrebbe obiettato a tale proposta che la realizzazione di una simile opera richiederebbe 20 o 25 anni di tempo, rendendo necessari 2 bracci di dighe foranee di circa 1,5 km. cadauno, imponenti dragaggi e banchinamenti; inoltre  avrebbe un costo di non meno di 1,2 miliardi di euro, oltre che costi ambientali altissimi.
Tali obiezioni, per quanto sinteticamente riportate, sono  suscettibili di approfondimento e motivazione, per poterne desumere la validità.

Opere di tal fatta richiedono, dal momento  del loro concepimento a quello del collaudo, una complessa rete di attività di studio, progettazione, iter amministrativo, gestione finanziaria, e infine una fase realizzativa che, realisticamente, non può richiedere nel suo complesso meno di due decenni.

Peccato che, se lo scopo della proposta è quello di spostare a Cerano la movimentazione del carbone, tutti gli studi in materia sostengono che il tempo residuo di utilizzazione del carbone nell’industria energetica mondiale non va oltre i 25 anni, considerato l’esaurimento progressivo delle fonti di estrazione e il parallelo trend di aumento dei costi.

Non va poi sottaciuto il fatto che nell’attuale quadro congiunturale dell’economia, i costi per la realizzazione della rada di Cerano, con solo riferimento alle opere foranee, ai dragaggi ed ai riempimenti e banchinamenti, sarebbero di ammontare tale da non essere sostenibili in assoluto (non ci sono simili disponibilità nè con strumenti di finanza pubblica, nè con strumenti di finanza privata) e neanche in rapporto ad una analisi di redditività. Fondi per  1,2 – 1,5 miliardi di euro costituiscono un obiettivo utopistico da reperire.
Inoltre dal punto di vista ambientale, la realizzazione di un vero e proprio nuovo porto, su un tratto di costa libero, costituisce un intervento pesantemente atrofizzante, e graverebbe sull’ecosistema marino, compromettendo vaste estensioni di fondale e modificando i movimenti dei sedimenti in Adriatico, finendo per   determinare erosioni e/o interramenti lungo i litorali di un vasto territorio ricompreso tra la costa a nord di Brindisi e il Capo di Otranto. Conclusioni queste a cui era giunto, già nel 1986, uno studio commissionato dall’Enel.

In definitiva, la proposta di trasferire fuori dall’attuale porto tutte le attività di movimentazione di prodotti industriali ed energetici avrebbe di per se una serie insuperabile di ostacoli economici, ambientali e temporali ed appare come una mera declamazione di obiettivi o, peggio, come un espediente per garantire il permanere dello “staus quo” a coloro che vi hanno interesse.
Di sicuro effetto emotivo ed ideologico, una simile visione, inoltre, mette all’indice la concreta possibilità di far coesistere nel sistema economico locale le attività industriali che, sino a prova contraria, costituiscono, insieme a quelle agricole, le basi irrinunciabili per far prosperare e sviluppare i settori del terziario, dei servizi, della cultura e del turismo, il cui decollo costituisce condivisibile preoccupazione del documento in esame.

Tornando ad un riscontro più puntuale dei contenuti del D.P.P., non si può fare a meno di contrapporre, con validi argomenti, alle proposte in esso formulate, la necessità di razionalizzare l’utilizzo delle aree portuali esistenti, attuando pienamente quella polifunzionalità che la conformazione naturale del porto rende possibile, ma limitando le attuali commistioni e gli accavallamenti nell’utilizzo delle aree.

Difatti il bacino del porto esterno, per la sua distanza dal centro abitato, per la sua contiguità alle aree industriali e agli insediamenti produttivi, per la già soddisfacente presenza di opere di primaria e secondaria infrastrutturazione (banchine, piazzali, raccordi viari e ferroviari, connessioni agli impianti esistenti), può essere messo in sicurezza, dotandolo finalmente di un “Piano di Sicurezza Integrata Portuale”, ed essere posto a servizio delle attività dell’industria chimica e di quella energetica, in piena e totale compatibilità ambientale e di tutela per la salute ed incolumità della popolazione. In tale ottica, un obiettivo perseguibile con costi sostenibili sarebbe quello della realizzazione del “Molo Carbone”, tra Costa Morena  est e il Molo Polimeri.

Tale realizzazione consentirebbe di liberare Costa Morena, che oggi ospita la discarica del carbone,  che in tal modo si potrebbe interamente destinare alla vocazione “naturale” del porto medio, quella commerciale.
Infatti, il nuovo molo-Enel permetterebbe di movimentare il carbone, oggi scaricato su Costa Morena ovest e, insieme allo spostamento del terminale del GPL, oggi anch’esso allocato nel porto medio, consentirebbe di liberare l’intera area di Costa Morena, compresi i nuovi piazzali di Costa Morena Est e Nord,  rendendola utilizzabile per i servizi commerciali di supporto a quella “Piattaforma Logistica” che prevede anche il D.P.P. e che potrebbe essere un elemento decisivo di attrazione per nuovi traffici.

Un’altro argomento appena sviluppato dal D.P.P. che merita una valutazione critica è quello che riguarda l’utilizzo del porto interno: non si ritiene infatti che un  ambito con quelle caratteristiche e con quella estensione possa essere  destinato unicamente al diporto nautico e alla fruizione urbana.

Il diporto nautico merita grande considerazione, ma gli spazi del porto interno sono sicuramente sovrabbondanti per le condizioni di mercato e per la concreta allocabilità di iniziative economiche di supporto allo stesso, mentre gli spazi da lasciare  alla fruizione urbana, agli usi culturali, espositivi, ludici devono essere compatibili con la possibilità che gli enti gestori (comune in primis) hanno di assicurare le risorse economiche e umane per la loro manutenzione e gestione.

Parte del porto interno, quindi, potrebbe essere valorizzata ed attrezzata per quel traffico crocieristico che, secondo l’ipotesi avanzata dal D.P.P. si vorrebbe invece trasferire lungo la diga di Punta Riso, mentre invece sarebbe più auspicabile portare  la “ricchezza” rappresentata dai crocieristi nel centro della città. Tale obiettivo potrebbe essere perseguito tecnicamente in maniera concreta, anche attraendo le compagnie che dispongono di navi di nuova generazione, di lunghezza di 300-310 metri, apportando limitate modifiche al Canale Pigonati, già esemplificate da tecnici ed esperti di opere portuali.

In tale caso, nel porto interno i due contenitori della attuale stazione marittima e del capannone ex-Montecatini potrebbero essere riconvertiti ed attrezzati per costituire strutture a terra per le operazioni di imbarco e sbarco dei crocieristi, in simbiosi e sinergia con due ormeggi contemporanei per tali tipi di navi.

Sempre nel porto interno, le aree che saranno dismesse dagli usi militari nel Seno di Ponente dovranno essere intelligentemente poste sul mercato, al fine di individuarne utilizzi remunerativi per le casse pubbliche, ma compatibili con le esigenze  di valorizzazione del territorio e di fruizione collettiva.

IL PRESIDENTE
Nicola ZIZZI

Foto: SC-Lab