A proposito di offshore

Oggi si parla spesso di estrazione di prodotti dal fondo marino: attività industriale in aumento nel Mediterraneo, ma soprattutto nel basso Adriatico; attività meglio nota come “offshore”. Nel settore della ricerca di Olio e Gas combustibili, i progetti offshore si sono sviluppati velocemente, e questa crescita dipende da situazioni geo-marine del situ e della tecnologia applicata. Per esempio, diverso è il sito posto in acque profonde, o in zone marine molto fredde, come pure diversa è la soluzione di unità galleggiante “floating production unit” per l’estrazione di LNG.  Diventano importanti le ispezioni sistematiche ai sistemi sottomarini e la dovuta certificazione; come pure necessitano di studi di fattibilità per adattare le tecnologie al situ prescelto. La recente disastrosa fuoriuscita di greggio accaduta nel Golfo del Messico ha spinto il Segretariato degli Interni Statunitense ad agire per incrementare le misure di sicurezza ed emettere regolamentazioni in grado di migliorare la sicurezza delle operazioni di perforazione offshore. Questo intervento americano viene criticato, perché è considerato di tipo “prescrittivo”; manca di flessibilità connaturata e non può adattarsi a situazioni inattese e più in generale a situazioni caratterizzate da un elevato livello di rischio. Per essere efficace un sistema legislativo altre definire i livelli minimi di sicurezza di un impianto offshore  che devono essere raggiunti, dovrà indicare “piani di safety e di security” per queste “facility” molto pericolose; sicuramente questo  minimum level  è determinato  riferendosi a lezioni imparate da incidenti passati e rimane una certa probabilità di previsione, quando non si sono ancora verificate situazioni da cui imparare; rimane la possibilità di essere esperti della “prevenzione”. In questo senso, conoscenza e formazione, oltre alla professionalità, sulla performance può risultare molto più efficace di una legge e/o regolamento, in particolar modo in uno scenario caratterizzato da significative sfide tecniche, rischi mai pienamente conoscibili e assenza di best practices di riferimento. Facendo riferimento a situazioni di trivellazione deepwater diventa importante quello che sta accadendo lungo le coste pugliesi, dove, ieri, durante una conferenza di servizi in Regione Puglia, è stato dichiarato un “niet” alla società inglese Northern Petroleum per attivare prospezioni geologiche, al fine di ricercare giacimenti di petrolio sul fondo del mare. Alla conferenza di servizi, oltre alla Capitaneria del Porto di Bari, hanno preso parte tutti gli Enti territoriali di tutto il litorale pugliese che va da Bari a Santa Maria di Leuca, per l’interesse di circa 6.600 Kmq. di mare. Il Ministero dell’Ambiente ha dato via libera per un procedimento di ricerche fuori delle 12 miglia dalla costa (cioè acque internazionali) – se autorizzate -; la Regione Puglia è nettamente contraria, mentre la Capitaneria di Porto di Bari, oltre a segnalare che gli impianti costieri limiterebbero le attività di pesca, ha segnalato la presenza  di ordigni bellici residuati dai conflitti delle due guerre mondiali e dalle ultime dei Balcani.

Abele Carruezzo