Piano Urbanistico Generale: la città di mare si interroga

Non esiste il porto, ma i portuali. Non esiste la città d’acqua, ma i cittadini con il “dover essere” marinai e marittimi. Come pure, non esiste il porto dell’autorità.

Il porto è concepito come integratore del territorio circostante assolvendo alla sua funzione di “nodo” di una rete intermodale-logistica–integrata. Fin quando la città non ri-scoprirà il mare come grande risorsa, forse la più grande, verso cui dirottare il destino del territorio, non si avranno sviluppi economici con orizzonti chiari.

La nuova connessione dei mari realizzata attraverso navi che dislocano merci e/o persone è quello che può fare la differenza ed ampliare gli orizzonti della città d’acqua, rendendola più forte e competitiva. A chi giova avere un porto geograficamente storico? Sicuramente una classe politica attenta alla evoluzione delle dimensioni culturali è favorevole per un futuro da “fare” e non per un passato da “ammirare-ricordare”.

Il legame di una città marinara tra passato e presente è connaturato al  suo porto, non solo dalla sua natura, ma anche dalla sua memoria. L’esperienza  del “fare”, che una città realizza con il suo Piano Urbanistico Generale (PUG), proponendo la trasformazione dei siti e delle arterie principali in relazioni urbanistiche con un senso-marittimo, è importante.

Non esiste un gruppo minoritario (elitista) a volere questo tipo di sviluppo,  contrapponendolo ad altri, se è una maggioranza politica, liberamente e democraticamente eletta da cittadini liberi.

Certo, lo sviluppo di un territorio dovrebbe essere concertato da tutti; sempre che tutti colgano il senso-significato di una risorsa grande come il mare ed il suo porto.

Tutto dipenderà dall’attività di un Consiglio comunale per proporre un’adeguata sociologia della comunicazione, evitando confusioni fra valori etico-urbanistici e patrocini di casta. “Gli uomini liberi, avranno sempre caro il mare”, di Charles Baudelaire.

Abele Carruezzo

Foto: Simone Rella