Africa: tassare la pesca straniera per proteggere quella nazionale

Le tasse che i pescherecci stranieri pagano per la pesca d’altura a paesi rivieraschi, sono minime rispetto ad uno studio scientifico effettuato dall’Università di Göteborg e sovvenzionato dalla Sida, (Agenzia svedese per la cooperazione internazionale allo sviluppo).

Ci sono zone costiere dell’Africa interdette alla pesca, soprattutto ai residenti che vivono lungo queste coste i quali  non possono impiegare le loro piccole barche. La Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare consente a flotte pescherecce straniere di utilizzare le ulteriori zone di pesca in mare; questa posizione si giustifica in nome di un “surplus” di pesce in queste zone ed in nome di uno sforzo di pesca da controllare.

Mentre, la ricerca effettuata dall’ economista Kofi Vondolia ha dimostrato che la migrazione degli stock ittici è il problema più importante rispetto alla gestione del pesce. Perciò, una tassa che prende in considerazione i fattori ecologici e socio-economici ha il potenziale per regolare la pesca, preservare gli stock a livelli sostenibili ed indirizzare reddito verso il paese in possesso dello jus res pubblica delle acque di pesca.

“Consentire a flotte di pescherecci, tecnicamente avanzate, a pescare in mare aperto nella zona economica del Ghana significa che gli stock ittici costieri, accessibili ai propri pescatori della piccola pesca costiera, stanno diminuendo portando crisi nel settore”, dice Kofi Vondolia, il cui studio fa parte di una tesi di dottorato presso l’Università di Göteborg. Ricordiamo che le zone economiche di pesca per molti paesi, sono regolate dalle Nazioni Unite tramite la Convenzione sul diritto del mare (1982); secondo tale convenzione, il pesce in eccedenza (surplus) in zone economiche degli Stati costieri può essere pescato da altri paesi.

La ricerca di Vondolia mette a fuoco proprio questo concetto, sottolineando che  il “surplus” non descrive una situazione marina giustamente ecologica. Infatti, si dovrebbe tenere conto, per la gestione della pesca, del fatto che gli stock ittici migrano da zone di alto mare verso zone marine costiere. L’università di Göteborg, tramite il team di Vondolia, ha sviluppato un modello bioeconomico al fine di calcolare una tassa equa e ottimale sulla pesca in mare o per la pesca in alto mare; tassa che potrebbe essere usata come strumento di controllo politico da parte dei paesi che utilizzano tecniche di pesca semplice e non sono in grado di utilizzare a livello economico tutta la loro zona di pesca.

L’imposta che viene proposta dai ricercatori è considerata ottimale, poiché permetterà di ottimizzare i profitti netti per il paese che ha diritto sulla zona di pesca; (vedasi il Ghana). In alternativa, l’imposta può essere fissata ad un livello appena sufficiente a dissuadere la pesca in mare aperto e portare i massimi benefici per la piccola pesca costiera interna. Quest’ultima considerazione, molto probabilmente, non porta ad un utile netto massimo per il paese, ma può essere preferibile da un punto di vista della distribuzione, dal momento che poveri pescatori potranno beneficiarne.

Questa tassa riflette una serie di fattori, non ultimo il legame biologico tra le scorte in mare aperto e costiere, ed  i livelli significativi di migrazione dei pesci; tiene conto anche del tasso di riproduzione delle specie ittiche, il prezzo del pesce, il costo della raccolta e del tasso di attualizzazione sociale. Si tratta di confrontare i costi correnti con costi derivanti in futuro così come comparando il reddito che è attualmente generato con reddito futuro.

Abele Carruezzo
Foto: SC-Lab