Liberalizzazioni e Governo Monti: inchino alle trivellazioni costiere

“Torna d’attualità la proposta delle liberalizzazioni”. Sembra un titolo di questi giorni, ma è del periodo 2000/2004, quando l’allora Commissario europeo Monti si augurava di evidenziare la razionalità economica che deriva dalla concorrenza. Certo che un mercato libero porta più concorrenza, ammesso però che tutti partano con le stesse opportunità e non come su una corsa a staffetta irregolare.

Quando nacquero le corporazioni di tutti gli ambiti sociali, produttivi e dei servizi, per i flussi materiali ed immateriali, ben presto si comprese la diversità fra gli “artigiani” ed i “professionisti”. Al punto che già nel 1856 Alexis de Tocqueville evidenziava la nascita di un potere immenso che avrebbe sfaldato lo stato sociale delle nazioni; cioè l’eccesso di accentramento decisionale di un mercato impoverisce la vita sociale.

Ed allora, se le liberalizzazioni hanno l’obiettivo di salvaguardare il cittadino, una regione, un territorio, un litorale marittimo, ben vengano; ma se saranno mirate, dopo una industrializzazione forzata, a pagare i “capitani dell’industria” che hanno devastato un territorio, non si riuscirà a garantire il bene comune.

Così, il nuovo decreto del Governo Monti, se approvato, consentirà all’Italia, ed in particolare alla Regione Puglia, lungo i suoi 800 chilometri di costa, di esercitare l’”inchino”, riducendo il limite entro cui ricercare idrocarburi dalle 12 miglia alle 5 miglia nautiche. Si praticherà tra virgolette una sovrapposizione di autorità (concessione) su acque territoriali di una nazione che ha firmato tutte le convenzioni internazionali sulla sicurezza e la salvaguardia dei mari.

La Petroceltic  tra il Gargano e le Isole Tremiti; la Northern Petroleum sulla costa barese da Monopoli a Ostuni; l’Eni su tutta la provincia costiera di Brindisi; e la Northern Petroleum Spectrum lungo tutta la penisola salentina ionica ed adriatica. Non si comprende quali siano state le motivazioni che hanno spinto il governo a proporre una simile riduzione, dalle 12 alle 5 miglia, se tutto il mondo, scientifico e non (meeting Kioto, Sud Africa di recente, incidente nel Golfo del Messico) sono per un aumento della zona da escludere allo sfruttamento delle risorse marine.

Infatti, all’articolo 22 della bozza del decreto governativo, testualmente, si legge: “l’attività di prospezione di idrocarburi è libera nel territorio nazionale e nelle zone del mare territoriale”; mare territoriale è la zona interessata dallo Stato fino a 12 miglia dalla costa. Ricordiamo che il D. L. vo 128  del 2010 a firma dell’allora Ministro Prestigiacomo la ricerca la estendeva almeno alle 12 miglia, anche se vi erano zone tra le 5 miglia e senza vincoli ambientali.

Mentre con il governo Monti, l’unica ristrettezza è amministrativa: se la ricerca risulterà negativa, la concessione alla Ditta verrà ritirata. Salvo a cambiare ditta, visto che la prima non è stata “brava” a trovare idrocarburi. Come pure, non si comprendono i vantaggi che un territorio come quello pugliese possa perseguire. Visto che non si comprende un “inchino” di una nave da crociera, e si parla di nuove rotte, per quale motivo dovremmo comprendere quello di una piattaforma per le trivellazioni petrolifere?

Certo, tutti confidiamo nella ricerca scientifica di nuove fonti energetiche, ma tutti siamo per una autodeterminazione della ricerca scientifica e non per svendere un territorio. Non basta gridare “No alle trivelle sotto costa”, ma sapere chi ha firmato le autorizzazioni, in modo da comprendere quanto la “politica” serve il bene comune di un territorio.

Abele Carruezzo