Camalli vs Armatori: armano anche le banchine dei porti?

Ritorna il problema del lavoro portuale: la Filt Cisl non condivide quello che accade in diverse realtà portuali che per promuovere scali e terminal a compagnie di navigazione si abbassano gli standard di sicurezza, facendo svolgere le operazioni portuali a personale non qualificato e che ha già svolto il proprio turno di lavoro prima di attraccare in porto (personale imbarcato). Stiamo parlando di un lavoro portuale in regime di autoproduzione chiesto da molte compagnie marittime ad effettuare “in proprio” le operazioni di rizzaggio, derizzaggio e taccaggio. Dopo Genova e Savona, anche la Sicilia, con la Commissione Consultiva del Porto di Palermo e Termini Imerese, si è pronunciata in maniera contraria a quanto chiedeva la compagnia marittima GNV.

L’autoproduzione, secondo la Commissione ed i rappresentanti dei lavoratori, andrebbe applicata  “solo nei porti dove non è possibile avvalersi dei lavoratori portuali, come già ribadito nei contratti di lavoro internazionali del settore marittimo” e, comunque, autorizzata “esclusivamente quando le navi sono dotate di mezzi adeguati alle operazioni da svolgere, con personale esclusivamente dedicato all’esercizio di tali operazioni, non fungibile, assunto con libretto di navigazione e aggiunto in tabella d’armamento”. In sostanza , in questo periodo di transizione dal governo dei tecnici al quello prossimo politico, si spera,  si sta consumando la vera battaglia sul futuro dei porti.

Infatti, la Commissione europea è impegnata in un complesso processo di revisione della legislazione portuale da un lato e dall’altro nei porti della Spagna, Portogallo e Grecia si stanno aprendo dei veri e propri scontri/incontri sul versante del lavoro sulle banchine dentro scenari della crisi economica/occupazionale e con piani di liberalizzazione spinta dei porti. A tal proposito sono intervenuti anche i maggiori rappresentanti dei lavoratori a livello europeo. Ci riferiamo al ETF (sezione europea dell’ITF sindacato mondiale dei lavoratori dei trasporti) e del IDC-E (International Dockworkers’ Council , European zone)  che nel corso di una serie di incontri a Bruxelles hanno espresso preoccupazione per i tentativi a livello nazionale di indebolire “i lavoratori portuali organizzati”.

Pur esprimendo un giudizio positivo per la scelta della Commissione di non intervenire nelle materie del cargo-handling e del lavoro portuale i due sindacati hanno lanciato l’allarme sulle richieste degli armatori per la liberalizzazione del settore e per “l’influenza spropositata che questa lobby ha sul punto di vista della Commissione”.

Mentre, come abbiamo scritto da questo sito, la UE deve garantire la trasparenza, la centralità dei criteri sociali e il rispetto dei diritti dei lavoratori anche nel caso di concessioni ai privati; ne va di mezzo gli innumerevoli piani strategici dell’Europa enunciati con titoli altisonanti e basta; al contrario, gli standard europei devono essere garantiti ed assicurati in tutti i porti qualunque sia il concessionario (pubblico o privato) di banchine; e senza farsi condizionare che i modelli di lavoro asiatici  nelle relazioni industriali sono i migliori: per chi? Non certo per i lavoratori portuali. Forse è ora per una indagine seria da parte di ispettori europei su questo fronte.

 

Abele Carruezzo