Sul palcoscenico c’è “Il Mare in Tasca”

Un sogno che è un naufragio nel mare della vita. Al teatro “Siracusa” di Reggio Calabria è andato in onda “Il Mare in Tasca”, scritto ed interpretato dall’argentino Cesar Brie, ultimo spettacolo della rassegna di prosa “RivelAzioni”. Brie nasce in Patagonia e vive da studente i tumulti di Buenos Aires che sfoceranno nella dittatura militare degli anni Settanta, momento in cui l’autore emigra a Milano, in esilio, e conoscerà gli ambienti dei centri sociali, per poi puntare ai mari del nord in Danimarca e da lì ritornare in Bolivia, a Yotala, dove trasforma un’azienda agricola in comunità artistica.

In questi passaggi transoceanici e nella conoscenza nei suoi viaggi dei mari sudamericani, mediterranei e nordici, Cesar elabora tutte le fasi della sua vita e le racchiude in canovaccio autobiografico. L’espediente è il sogno, in cui l’attore addormentatosi si sveglia ritrovandosi trasformato in un prete, naufragato in mezzo all’oceano ed impegnato in un confronto esistenziale con Dio.

Mentre il dialogo si intensifica, anzi il monologo perché le parole ascoltabili sono solo quelle di Brie mentre la voce divina è percepibile solo dal prete naufragato, ogni pezzo della scena si trasforma in un ricordo ed in una storia dentro la storia. Prendono vita così la zattera di salvataggio, della casse da viaggio e dei frammenti di legno e scafo consumati dal sole e dalla salsedine.

La trama, iniziata con un nonsense e divenuta sempre più affiatante e drammatica, si avvia al termine con la crisi data dalla solitudine in mezzo al nulla di Cesar Brie. È così che sul punto di crollare l’attore afferra una cassa e la apre, scoprendola piena di sabbia, cospargendone il contenuto attorno a sé e creando così dal nulla un isola in cui salvarsi.

Questo momento di ritrovata quiete si conclude con la morte del prete e quindi il risveglio dell’attore, ritrovatosi in disincanto innanzi al pubblico, dove comprende la realtà. È qui che Cesar Brie capisce quanto ognuno naufraghi ogni giorno nello sguardo del prossimo, in un mare senza porti o approdi certi, come il teatro e la sua platea, su una zattera che è nelle assi di legno del palcoscenico e rappresenta, alla fine, quel viaggio di ognuno tra le onde della vita.

Francesco Ventura