Riforma dei porti? Confusione a tutto campo

ROMA – Si doveva decidere proprio ieri sul modello di governance relativo alla riforma dei porti della “piattaforma logistica” italiana, da parte dei saggi; lo aveva annunciato l’ex Ministro Lupi, appena giorni addietro. Fino a pochi giorni fa su tutta la stampa, di settore e non, si leggeva solo “quante” autorità portuali erano importanti allo sviluppo strategico dei trasporti marittimi e della logistica per l’Italia e la UE; anzi il problema del numero delle AP era ed è tutto europeo, cercando di mantenere alto il baricentro portuale della UE, cioè verso i porti del Nord-Europa.

Ed allora si parlava solo di sei grandi AP accorpando regioni marittime;  poi di dodici accorpando per territori marittimi e per corridoi europei;  ed alla fine lasciando le ventiquattro AP attuali razionalizzando gli investimenti tramite un’Agenzia nazionale dei porti. Oggi non si parla più di accorpamenti, ma di una forte limitazione dei poteri delle Autorità portuali tanto da vedere iniziata la corsa alla “poltrona” della forse nascente Agenzia centrale e locale sui porti,  come dimostrano le varie assemblee annuali degli operatori ed utenza portuale di questi giorni.

Come dire che lo sviluppo della portualità italiana in chiave europea/mediterranea/globale passa per una Agenzia? Proprio in questi giorni si stanno confrontando due modelli di governance portuale. Il primo mira a regolare tutta la portualità italiana tramite i “bacini” e che prevede una cabina di regia centrale presso il Ministero e con potere su concessioni, autorizzazioni, programmazione, selezione di opere, indirizzo e vigilanza.

Con questo primo modello, le varie AP diventerebbero “autorità di bacino”e non si sa quante accorpate o se rimangono tutte; gestirebbero le azioni come un ufficio distaccato dell’Agenzia unica delle Dogane, con un indirizzo e coordinamento locale, promuovendo traffici e quote di finanziamento pubblico da destinare ai porti. Il secondo modello, si fonda sull’Agenzia nazionale dei porti; sciogliere le AP esistenti tutte e sostituite dagli uffici locali della stessa Agenzia.

Rimangono perciò tutti i problemi  che per anni sono stati evidenziati come “marea burocratica”: manutenzione ordinaria, proporre Piano operativo triennale e realizzazione delle opere. Anche con questo modello forse lo sviluppo della portualità italiana passa strategicamente con il cambiare nome alle AP e lasciando gli stessi compiti, esclusa l’autonomia finanziaria dopo il diniego della Ragioneria dello Stato?

Abele Carruezzo