Quanto hanno da temere le banche tedesche dalla crisi dei traffici marittimi?

BERLINO – C’è un po’ di turbativa nell’aria, a Berlino così come a Seul. Abbiamo finto incredulità dinanzi all’implosione della Hanjin Shipping e forse, giusto per rinvigorire il copione, faremo altrettanto per Deutsche Bank. Perché la madre di tutte le banche teutoniche ha un piccolo, pernicioso, “problema con Houston”. I parallelismi con il settore navale possono così aver inizio.

Difatti, anni di nuovo edonismo reaganiano hanno incoraggiato Deutsche Bank, al pari di tanti istituti bancari nazionali, ad investire nel settore navale: l’autorevole analisi del German Shipowner’s Association ritiene che quasi il 30% della flotta cargo mondiale sia nella pancia di piccoli, medi e grandi investitori tedeschi. Nessun altro paese al Mondo può vantare al momento un simile primato. Avvocati, medici e professionisti della borghesia mitteleuropea hanno, per anni, destinato parte dei propri risparmi nei molteplici fondi d’investimento (i.e. kommanditgesellschaft funds) che, sotto la règie di Deutsche Bank nonché di altri istituti di credito, guardavano inopinatamente al settore armatoriale.

La crisi dei traffici secchi ha poi, improvvisamente, fatto crollare i noli, facendo peraltro lievitare l’esposizione debitoria degli armatori. Tenuto conto del solo biennio 2015 – 2016, il valore della flotta mondiale (tra dry ed offshore) si è ridotto di circa 300 miliardi di euro e i fondi hanno contestualmente ridotto i propri investimenti nel settore armatoriale da 418 a 201 miliardi di euro. Secondo una stima dell’istituto Deutsche Fondresearch, circa 2200 delle 3015 navi detenute dai fondi d’investimento costituiscono oramai per gli stessi una fonte di passività. Si è così giunti ad una monumentale esposizione delle banche tedesche nell’intero comparto navale che, oramai, è prossima ai 100 miliardi di euro.

In una simile congiuntura, molti istituti di credito tedeschi si sono visti costretti ad attuare severe terapie d’urto: la HSH Nordbank di Amburgo, ad esempio, è stata letteralmente salvata dai Lander della Bassa Sassonia e dello Schleswing – Holstein, mentre la Commerzbank AG ha salomonicamente interrotto l’erogazione di prestiti verso gli armatori. A destar maggior preoccupazione, tuttavia, è la condizione di Deutsche Bank, uno dei principale finanziatori a livello comunitario: la sua esposizione nel comparto marittimo oltrepassa i 6 miliardi di euro ma, al momento, starebbe attivamente cercando di cedere sul mercato crediti deteriorati per circa 1 miliardo di euro. La deflagrazione di Hanjin Shipping ha reso ancor più argillosi i piedi del colosso tedesco, costringendolo a viaggiare con maggior circospezione nel firmamento della finanza internazionale.

Il rovinoso esperimento tedesco – giurano gli addetti ai lavori – ha sospinto il processo di rivisitazione, già in fieri, degli investimenti nello shipping. Il settore tanker, ad esempio, continua a registrare dei tassi di nolo elevati eppure non c’è un correlativo movimento forte al rialzo dei prezzi delle navi tanker: difatti, molti investitori stanno offrendo le loro navi al mercato. Per di più, l’irrigidimento della regolamentazione internazionale per il rafforzamento degli istituti bancari (i.e. Basilea III) comporterà in seno a quest’ultimi una maggior cautela nell’assunzione dei rischi e, pertanto, le banche potrebbero restare per svariati anni fuori dal settore armatoriale.

 

Stefano Carbonara