LA RESPONSABILITA’ DEL SUBFORNITORE DI MOTORE NAVALE NEI CONFRONTI DELL’ARMATORE

BRINDISI – Lo scorso 13 settembre la Corte Suprema danese si è resa artefice di un interessante pronunciamento in un contenzioso avente ad oggetto la responsabilità del subfornitore di motori navali, nei confronti dell’armatore, nell’ambito di un contratto di vendita della nave.

Circa una decade fa, difatti, un armatore danese aveva commissionato ad un cantiere sudcoreano la realizzazione di 9 navi gasiere; quest’ultimo, a sua volta, si era rivolto ad un subfornitore esterno per la realizzazione dei gruppi propulsivi delle nuove unità in costruzione. Nello specifico, i motori erano dotati di un sistema di lubrificazione dei cilindri a controllo elettronico in grado di ridurre l’attrito dei pistoni e, di conseguenza, gli interventi manutentivi, migliorandone al contempo il rendimento ed i consumi.

Questa soluzione, almeno sulla carta, sembrava vincente eppure, a distanza di qualche mese dalla consegna delle nuove unità, quest’ultime iniziarono ad accusare le prime noie meccaniche: la corona, i rivestimenti e le fasce dei pistoni già manifestavano segni di profonda usura nonostante il breve utilizzo. Si palesarono così i primi, inaspettati, interventi manutentivi che richiesero l’esborso, da parte dell’armatore, di circa 4,5 milioni di dollari. D’altro canto, i termini di garanzia, e con essi, quelli indicati nel contratto d’acquisto delle navi – sottoscritto tra l’armatore ed il cantiere – per la segnalazione di eventuali anomalie erano già spirati.

Fu in quel momento allora che l’armatore delle navi pensò di citare in giudizio il fornitore dei motori navali, in luogo del cantiere sudcoreano, ritenendo altrettanto applicabile nei suoi confronti la responsabilità extracontrattuale da prodotto difettoso; in sostanza l’armatore intendeva dimostrare al cospetto del Tribunale marittimo e del commercio di Copenaghen che l’intero gruppo propulsivo (motore, sistema di lubrificazione) avrebbe meritato di essere qualificato quale componente distinta ed autonoma dal resto della nave, potendo così apporre al fornitore, e non solo al cantiere navale, la qualifica di produttore (v. Direttiva 2011/83/CE; Direttiva 1999/44/CE).

Il Tribunale di Copenaghen diede così ragione all’armatore sostenendo che il fornitore dei motori navali fosse qualificabile come produttore in quanto, durante le contrattazioni col cantiere sudcoreano, era stata prospettata all’armatore la possibilità di scegliere tra differenti sistemi di lubrificazione del motore; per di più, nella stessa sede, erano stati presentati all’armatore tutti quei vantaggi che ne sarebbero potuti derivare dalla scelta del sistema di lubrificazione a controllo elettronico. In poche parole sembrava che ci fossero tutte le condizioni per qualificare la vendita dei motori come affare distinto rispetto all’acquisto delle navi gasiere.

Ebbene, quest’ultime argomentazioni sono state clamorosamente smantellate dal recente pronunciamento della Suprema Corte danese la quale, facendo sfoggio sia della legislazione comunitaria che di quella nazionale, ha riconosciuto l’impossibilità di qualificare come produttore il subfornitore del costruttore – alias cantiere navale – con il quale l’armatore ha sottoscritto un contratto di acquisto di nave.

Difatti, illustrano i giudici di corte, l’acquisto dei motori non era avvenuto in una sede separata e distinta dal contratto di acquisto della nave e, peraltro, non era mai esistita alcuna relazione contrattuale tra l’armatore ed il fornitore di motori. Il motore merita la qualifica di componente del prodotto finale (la nave) e pertanto eventuali difformità e/o vizi dello stesso danno luogo ad una azione di responsabilità soltanto nei confronti del venditore/cantiere navale.

 

Stefano Carbonara