Trasporto marittimo: dal 2017 riflessioni libere

BRINDISI – Stiamo attraversando un periodo culturale (socio-politico) molto significativo per non ammettere che le nostre vision e i modi di leggere una realtà marittima vanno resettate e aggiornate. L’economia globale a trazione USA dal 2008 stenta a decollare dovendo fronteggiare ancora oggi aree geografiche in continuo conflitto politico/sociale; e ancora non si può dire, con certezza, che la domanda dei servizi del trasporto marittimo crescerà.

Ci limiteremo, come nostro costume, a evidenziare alcune chiavi di lettura dello shipping, per comprendere le strategie che un’Autorità di Sistema Portuale dovrebbe/deve mettere in atto se effettivamente si crede che il “porto” è importante per il trasporto marittimo e quest’ultimo è importante  per i traffici e flussi merceologici.

Il primo dato certo è che il trasporto marittimo provvede ancora a circa il 90% dei traffici di materie e manufatti mondiali, anche se in questi ultimi dieci anni ha presentato un’offerta di stiva superiore alla domanda di trasporto e che molte Compagnie di navigazione sono ancora impegnate a espandere la loro capacità con nuove costruzioni di navi senza precedenti.

Le società armatoriali, approfittando delle agevolazioni offerte da società di leasing cinesi, hanno scelto i cantieri navali della Cina per costruire le loro nuove navi. Il secondo dato prevede che la Cina continuerà a finanziare e consegnare nuove navi purchè esse siano noleggiate a interessi cinesi (noli marittimi bassi sia per lo import, sia per l’export che rappresentano l’altra faccia della strategia cinese “One Belt One Road”). Tutto questo porta e sta portando la capacità di trasporto delle navi ad eccedere la domanda, per cui in alcuni settori, come rinfuse secche e liquide, a stento si riesce a coprire i costi operativi di queste navi.

La terza riflessione riguarda il costo di trasporto di un container, via mare, dalla Cina, dal Giappone, dalla Corea o da Taiwan verso gli Stati Uniti, è nettamente inferiore ai costi di autotrasporto terrestre verso la porta di consegna, senza vantaggi economici per il ritorno del container vuoto. Sull’altro versante, gli Stati Uniti si sono resi indipendenti dal punto di vista energetico, grazie alla scoperta di nuove fonti di petrolio greggio e di gas naturale divenendo anche esportatori di gas. Poi, il recente ampliamento del Canale di Panama ha sostanzialmente cambiato la fornitura di gas naturale dagli Stati Uniti alla Corea e al Giappone e da ultimo in Cina.
Queste note libere ci inducono a considerare che nel Mediterraneo il costo per trasportare un container via mare, dal basso Adriatico o dal Tirreno verso il Far East è quasi lo stesso se s’imbarca da Napoli, Salerno, Bari o da Brindisi o da Taranto. I costi veri e propri sono per l’autotrasporto terrestre dalla door di fabbrica al porto d’imbarco, maggiorati dai costi della logistica, non ancora matura e sistemica di filiera. Si aggiunga che la crisi economica e finanziaria dell’UE sta limitando la competitività del processo trasportistico da e per gli USA, come pure verso la Cina; questo sta trasformando lo scenario marittimo, favorendo i porti del Meridione d’Italia, in particolare del basso Adriatico che guadagnano mercato, grazie alla loro posizione geografica nei confronti di un maggior flusso in/export cinese.

Mi riferisco alla Puglia con due porti “core” legati a corridoi europei importanti e con una retroportualità significativa da agevolare la logistica integrata. Per questo diventa importante la costituzione di zone economiche speciali in aree di un’Autorità di Sistema Portuale, al fine di una rigenerazione economica di quel determinato territorio, agevolando così l’insediamento d’imprese che hanno un effettivo legame portuale e logistico. Per il futuro si dovrà dare molta attenzione agli interessi della merce e alla loro futura domanda di servizi di trasporto marittimo, per cui i porti si dovranno attrezzare con adeguate infrastrutture.

 

Abele Carruezzo