I porti italiani e spagnoli devono opporsi all’Ue

Bruxelles– La decisione della Commissione europea contro le esenzioni fiscali di cui beneficiano i porti italiani e spagnoli è giunta puntuale. L’Europa dell’euro e molto meno degli Stati e dei cittadini non perde occasione per uniformare latitudini e longitudini al servizio di una “centralità” che non tiene conto della storia e della geografia dei tanti e diversi popoli marinari e marittimi. In Europa la lobby dei porti del Nord, da sempre, è stata capace di far valere le proprie esigenze dirottando flussi merceologici a scapito dei porti del Mediterraneo.

Anche il piano dei corridoi trasportistici e dei porti core, visti con una luce diversa (quella post-moderna della cristallizzazione del presente e della desertificazione del futuro) appare non equo per una portualità europea e moderna che voglia competere con la Cina e gli USA; ed è per questo si combattono i regimi fiscali diversi sotto l’ombrello della concorrenzialità. Oggi più di ieri è necessario, almeno per l’Italia, improntare nuove strategie sulla portualità per salvaguardare i propri interessi, se non si vuole perdere anche questa battaglia.

Motivazione– La concorrenza transfrontaliera è sempre più attiva nel settore portuale e la Commissione si sente impegnata a garantire condizioni concorrenziali eque. I porti svolgono attività che possono essere economiche o non economiche: per la Ue lo sfruttamento commerciale delle infrastrutture portuali (cioè ruoli, funzioni e servizi) sono considerati nella fattispecie di “aiuti di Stato”.

Osservazione– I regimi fiscali dell’Italia e della Spagna sui porti esistevano prima dell’entrata in vigore del Trattato sull’Unione europea; tali misure sono pertanto considerate “aiuti esistenti” e la loro valutazione e/o modifica dovrà seguire un iter specifico di cooperazione tra Stati interessati e la Commissione e comunque i beneficiari non sono tenuti a rimborsare gli aiuti percepiti in passato. E soprattutto la cooperazione fra Stati non dovrà essere a senso unico cioè a favore sempre di quella lobby dei porti del Nord.  Già, in aprile dell’anno scorso, la comunità portuale italiana aveva giudicato tale interpretazione da parte della Commissione errata, in quanto le Autorità Portuali, ora Autorità di Sistema Portuale, sono enti soggetti al diritto pubblico e non organismi commerciali, forma che prevalentemente caratterizza invece diverse port authority degli scali portuali nord europei che operano in maniera privatistica.

Tempi– La decisione della Commissione sulla fiscalità applicata dallo Stato alle Autorità di Sistema Portuale, non porterà, per ora, a una procedura d’infrazione a patto che l’Italia e la Spagna adeguino la loro legislazione per assicurare che i porti paghino dal 1° gennaio 2020 l’imposta sulle società, come per le altre imprese che realizzano profitti.

Opposizione– L’anno scorso, aprile 2018, la portualità italiana, con Assoporti in testa, aveva risposto alla Commissione Ue che i porti italiani non sono aziende private, ma “enti pubblici come lo Stato” e s’invitava il Ministero dei Trasporti a mettere in atto tutte le azioni giuridico – legali per evitare lo scontro tra l’Italia e l’Europa, salvaguardando l’operatività dei nostri porti. Ottobre 2018, il cluster marittimo e portuale italiano sollecitavano il Ministro ai Trasporti, sen. Danilo Toninelli, a mantenere per i porti italiani l’attuale assetto giuridico, perché un eventuale confronto su questi temi e materie è proprio della Corte di Giustizia europea, unico soggetto competente a interpretare e applicare con efficacia il diritto dell’Unione europea.

Oggi, il PD, con la Serracchiani afferma che: “ Bisogna alzare il pressing politico sulla Commissione e se necessario prepararsi ad andare alla Corte di Giustizia europea per far valere le nostre ragioni ed evitare che i porti italiani subiscano un colpo pesantissimo proprio mentre si stanno rilanciando”. Mentre il viceministro alle Infrastrutture e ai Trasporti Edoardo Rixi afferma: “Avvieremo un confronto con la Commissione Ue perché le osservazioni sui presunti aiuti di Stato, così come sono state formulate, di fatto significherebbero una limitazione gravissima nel piano degli investimenti infrastrutturali del nostro Paese. Le peculiarità dei nostri porti, che insieme con quelli spagnoli, sono fondamentali per lo sviluppo del Mediterraneo, e vanno preservate: in quest’ottica siamo disponibili a un’eventuale revisione del ruolo delle Autorità di sistema portuale e quindi della legge Delrio, che oggi penalizza e ingessa i nostri scali rispetto ai competitor del Nord Europa”.

Italia e Spagna hanno ora due mesi di tempo per reagire al parere della Commissione, e qualora non accettino le misure proposte, Bruxelles può decidere di avviare un’indagine approfondita per verificare la compatibilità degli aiuti esistenti. A tal fine, la Commissione può chiedere allo Stato membro di porre fine al “regime di aiuti” che falsa la concorrenza all’interno del mercato unico. E comunque, proporre una revisione della legge Delrio oggi significherebbe ammettere in parte il parere della Commissione.

Abele Carruezzo