“Zero emissioni” si sposta nel 2050

Londra. Per consentire la transizione a un settore marittimo decarbonizzato, l’espressione ‘fonti di energia a zero emissioni di carbonio’ dovrebbe essere intesa come fonte di energia e combustibili che insieme hanno il potenziale di soddisfare tutta la domanda di energia del trasporto marittimo nel 2050. Per quanto riguarda la navigazione e il rifornimento delle navi a zero emissioni significa zero emissioni di gas serra. Durante un webinar tecnico fra operatori del settore dello shipping internazionale, armatori e broker è prevalsa la convinzione che l’obiettivo IMO del 2023 sulla riduzione dei gas serra sarà difficile da raggiungere. Infatti, anche se ora sono gli Stati Uniti a spingere per ridurre le emissioni delle navi, sicuramente si spenderanno più dollari per la ricerca di combustibili non fossili per alimentare le navi; probabilmente questo produrrà una reazione giustificata da parte delle nazioni asiatiche e sudamericane che temono l’aumento dei costi di esportazione.

Gli Stati Uniti erano rimasti silenziosi alle raccomandazioni IMO per dimezzare le emissioni di CO2 delle navi nel 2050 rispetto ai livelli del 2008. Ad aprile di quest’anno pare si siano ricreduti, anzi spronano la stessa IMO a spingere verso l’obiettivo delle emissioni zero e del carbon free. Questa è la nuova politica dell’amministrazione Biden per affrontare il cambiamento climatico, dopo aver riportato gli Stati Uniti al rispetto dell’accordo di Parigi sulla limitazione delle emissioni di gas serra.

Oggi, gli USA sono impegnati, unitamente ai paesi membri IMO, nell’adottare l’obiettivo di raggiungere zero emissioni dal trasporto marittimo internazionale entro il 2050 e per adottare misure ambiziose che porteranno l’intero settore su tale percorso. L’inversione di marcia americana è destinata a portare alla ribalta le divisioni tra i membri dell’IMO quando l’organismo si riunirà nel 2023, per valutare la revisione dell’obiettivo di riduzione delle emissioni del 50%, concordato nel 2018. Il Giappone e alcune nazioni del Nord Europa dovrebbero unirsi alla richiesta degli Stati Uniti per tagli più rigorosi delle emissioni. Altri, come il Brasile, l’Argentina e molti paesi africani, sicuramente spingerebbero per un risarcimento – ristoro – come condizione per sostenere un obiettivo più ambizioso di riduzione delle emissioni. Le nazioni sudamericane temono che il costo di esportazione di prodotti a base di carne, prodotti freschi e materie prime potrebbe raddoppiare, se le navi dovessero utilizzare combustibili non fossili, che attualmente costano circa 10 volte di più del bunker di petrolio convenzionale.

Il passaggio ai combustibili non a base di carbonio costerebbe circa 3 trilioni di dollari a livello globale, e gli armatori che si stanno spendendo con forti budget economici per rinnovare le loro flotte, molte navi iscritte nei registri di New York, sono stanchi delle nuove e continue normative statunitensi.
Molti nel settore dello shipping sono scettici sul fatto che lo “zero emissioni” entro il 2050 sia realizzabile; la visione americana del presidente Biden può essere troppo ambiziosa e i trent’anni potrebbero sembrare lunghi, se pensiamo che interesserà armatori delle circa 60.000 navi che movimentano la maggior parte dei prodotti e delle materie prime del mondo.

Osservazione: le navi impiegano in genere circa due anni per essere costruite e consegnate; hanno una vita operativa di circa 25 anni; quindi ordinare nuove navi oggi potrà avere importanti implicazioni finanziarie in quanto le normative sulle emissioni diventano più severe anno dopo anno. Alcune compagnie di navigazione vedono già per le loro navi l’uso di gas naturale per la propulsione – soluzione provvisoria più pulita del bunker con carburante convenzionale-; mentre altre compagnie stanno aspettando che la tecnologia a “zero emissioni” diventi conveniente. La ricerca di un’alternativa che funzioni per l’intero settore è ancora in una fase iniziale.

I motori delle navi che funzionano con ammoniaca, idrogeno e biocarburanti sono in fase di test, ma i combustibili non sono ancora disponibili nei volumi necessari e tutti presentano potenziali inconvenienti. I serbatoi d’idrogeno occupano molto spazio e tolgono stiva alla nave, l’ammoniaca è altamente tossica se versata nell’acqua, e alcuni biocarburanti richiedono che vaste aree di terreno agricolo siano dedicate a piante come la canna da zucchero, con relativo potenziale di danno ambientale. Raggiungere un’ampia disponibilità di combustibili rinnovabili entro il 2030 significa oggi spostare l’obiettivo oltre.

Abele Carruezzo