La Germania per navigare chiede aiuti di Stato

Amburgo. La Germania sta attraversando una delle crisi economiche più difficili dal suo dopoguerra a oggi; è nota a tutti la fase di recessione che il paese alemanno sta soffrendo con il comparto industriale tutto che stenta a ripartire, portandosi dietro altre industrie europee. I porti principali della Germania stanno registrando un calo nelle merci mobilitate rispetto all’anno 2017. Il porto di Amburgo, nel traffico su rotaia tra la banchina e le aree logistiche circostanti l’infrastruttura, segna l’1% in meno rispetto all’anno precedente. Tuttavia, analisti di economia marittima affermano che le perdite sopportate dalla portualità e dalla logistica tedesca sono da addebitare a una crisi finanziaria globale.

Il sistema del trasporto marittimo rimane, però, il fulcro della logistica alemanna; infatti, l’alto valore aggiunto dei servizi di trasporto aereo è compensato dai volumi gestiti dal settore marittimo. Nello scorso 2018 tali volumi hanno registrato un valore cinquantotto volte di più rispetto al trasporto merci gestito negli aeroporti del paese. A volte ci si dimentica del valore economico della cantieristica navale tedesca che rimane a tutt’oggi significativa nelle costruzioni di navi.

Sappiamo che i più grandi cantieri navali si trovano oggi in Corea del Sud e Cina, ma circa l’80% del valore aggiunto nella costruzione di una nave è rappresentato dai fornitori. Secondo un’analisi condotta dalla tedesca Shipbuilding & Ocean Industries Association (Verband für Schiffbau und Meerestechnik, VSM), gli Stati federali di Baviera, Baden – Württemberg e Renania settentrionale – Vestfalia sono località importanti per l’industria delle forniture navali. Aziende come MAN, Siemens, MTU, ZF e numerosi altri fornitori di tecnologia per la navigazione e la propulsione sono attive in queste regioni; il settore delle forniture navali occupa oltre 60.000 persone e genera un fatturato di oltre 10 miliardi di euro.

L’Associazione tedesca degli industriali dello shipping non condivide il successo della Cina e tutte le distorsioni del mercato che stanno portando alla recessione del paese e per questo chiedono una revisione delle strategie politiche dei loro governanti. L’industria marittima tedesca si lamenta dell’intensificarsi della concorrenza internazionale; oggi, i porti di Rotterdam e Anversa hanno superato i porti tedeschi di Amburgo e Brema in termini di crescita. I cambiamenti strutturali nel settore navale hanno avuto conseguenze di vasta portata per la Germania. La sua flotta mercantile si è ridotta da 3500 a circa 2300 navi, con il numero di linee di navigazione che sono passate da più di 400 a circa 330.

Da una prospettiva globale, gli armatori e gli operatori portuali nazionali, di fronte alla concorrenza dell’Estremo Oriente, stanno cercando di unire le forze in Europa nel suo insieme. Sostanzialmente, dal punto di vista politico, lo shipping tedesco sta cercando “aiuti” di Stato e aiuti Ue per far fronte alla concorrenza: questa non è stata fino ad oggi la loro politica e neanche della Commissione Ue, anzi sono sempre intervenuti sugli altri Stati europei con veti e condanne, quando si paventavano simili aiuti (Italia e Spagna ne sanno qualcosa!). L’occasione per i tedeschi a cambiare strategia si è presentata qualche settimana addietro, in occasione della pubblicazione della relazione annuale dell’International Transport Forum (ITF) dell’OCSE:  ITF ha criticato l’assegnazione dei sussidi statali, vale a dire l’esenzione fiscale per gli enti pubblici incaricati della gestione dei porti marittimi in alcuni Stati membri.

Si precisa che in Europa esistono almeno tre tipologie di sovvenzioni: la tonnage tax, le esenzioni fiscali per i carburanti per il trasporto marittimo nazionale e le misure fiscali per ridurre gli oneri salariali dei marittimi; per queste sovvenzioni si spendono circa tre miliardi di euro/anno nei Paesi dell’OCSE – si legge nella relazione dell’ITF -. Fra tutte le sovvenzioni, quella sotto osservazione critica dagli anni ’90 è la tonnage tax che è applicata in varie e diverse forme a molti e differenti ambiti del trasporto marittimo, coprendo anche attività terminaliste e di movimentazione delle merci nei porti, in quasi tutti i Paesi Ue (Belgio, Danimarca, Finlandia, Irlanda, Italia, Lituania, Norvegia, Olanda, Spagna e Svezia).

E allora, il teorema tedesco aggiornato è il seguente: poiché la Germania si fa carico, per conto Ue (sostenere il Made in Europe nel mondo), di spese in termini di esportazioni e di logistica, per mantenere tale punto di forza, l’industria portuale e dello shipping tedesco deve essere liberata da svantaggi competitivi, ma agevolata con aiuti di Stato e dell’Europa, soprattutto nelle procedure d’importazione. Come dire: poiché l’Italia è porto di frontiera della Ue nella questione “immigrati”, l’industria italiana (Made in Italy) deve essere aiutata?

Intanto, la Federazione delle società e dei terminal portuali privati europei (Feport), con sede a Bruxelles, ha chiesto una revisione degli orientamenti dell’Ue per l’applicazione delle norme sugli aiuti di Stato, in particolare quelli relativi a porti e terminal; si richiede pertanto un “controllo di idoneità” europeo, come è stato fatto per altri settori, come quello bancario. E ancora, l’Associazione degli armatori della Comunità europea (ECSA) e l’Associazione degli armatori tedeschi, entrambe hanno dichiarato che le norme sugli aiuti di Stato sono “uno strumento altamente efficace  per mantenere e rafforzare il settore marittimo europeo in questo ambiente sempre più competitivo”.

Abele Carruezzo