Covid – 19: dopo, niente come prima sui porti italiani

Per l’Unione Europea, questo periodo di emergenza coronavirus si trova in un orizzonte politico Franco-Alemanno deciso a far approvare a tutti i costi il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità); l’Italia, trovandosi sul fronte pandemico è costretta ad elemosinare un quantitative not easing di denaro per uscire da questa crisi sanitaria … economica e … sociale.

Commissione Ue. Nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 10 gennaio 2020 è stata pubblicata la lettera della Commissione Europea che solleva la questione sulla tassazione dei porti in Italia invitando il Governo a fornire le proprie osservazioni entro trenta giorni. Bruxelles chiede all’Italia di autotassarsi in nome del libero mercato, aprendo la strada alla privatizzazione dei porti. L’attività di un ente pubblico, quindi, è vista da Bruxelles come un modus operandi commerciale non conforme all’articolo 107/1 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) e, per tale ragione, alla scadenza dei trenta giorni, partirà la procedura d’infrazione a carico dell’Italia.

Ci troviamo di fronte ad un paradosso di uno Stato che dovrebbe autotassarsi e, potenzialmente, abbandonare il monopolio di esercizio del pubblico ufficio. Si aprirebbe così un probabile scenario di privatizzazione delle infrastrutture! Pensiamo un attimo ai piani di sviluppo delle varie AdSP dell’Italia meridionale: gli investimenti per interventi infrastrutturali che il governo centrale, specie
al Sud, dovrebbero seguire un iter burocratico infinito, passando sa Bruxelles. La tassazione elevata, infatti, ridurrebbe la competitività dei porti italiani, già sofferenti per carenti infrastrutturali in termini di capacità di volumi di merci lavorate.

La Cassazione. Per il più alto Organo Giudiziario italiano, la Corte di Cassazione, le attività svolte dalle Autorità Portuali (quali, ad esempio, la concessione delle banchine portuali, peraltro obbligatoria ex lege) sono indubbiamente riconducibili nell’alveo delle funzioni statali e non possono essere ricomprese nell’ambito di un’attività d’impresa. Si legge nella sentenza che tali attività fanno parte delle funzioni statali “dovendo essere funzionali e correlate all’interesse statale al corretto funzionamento delle aree portuali, concretandosi in poteri conferiti esclusivamente a tal fine, (cfr I. n. 84 del 1994, per la scelta dei concessionari) con una discrezionalità vincolata, sottoposta a controlli da parte del Ministero dei Trasporti (ora Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) ”.

Finalmente ci troviamo di fronte una valutazione giuridica e decisa e che invita la Commissione Ue a una riflessione seria evitando di mettere in discussione la natura giuridica delle AdSP. Sono enti pubblici, non economici, che svolgono compiti assegnati dallo Stato, esercitandone i poteri assegnati di vigilanza e controllo con poteri sanzionatori. Aspettiamo le valutazioni della task-force, messa in campo dalla Ministra Paola De Micheli, composta di personalità nel settore del diritto e della portualità; e siamo speranzosi che si possano sostenere le tesi italiane in un confronto trasparente con gli uffici dell’Ue e scrivendo la parola “fine” a un contenzioso dalle procedure non chiare.

Riflessioni.

1a. Non tutti i porti europei sono gestiti nello stesso modo tra gli Stati membri e che il modello dei porti italiani è diverso da quello dei porti francesi, olandesi, belgi e tedeschi. Leggendo le carte, le date e varie dichiarazioni di esponenti europei ci troviamo di fronte ad un paradosso: ci stanno convincendo (i fautori del “sacrificio”) che siamo in perpetua crisi per smantellare tutto e quindi industrie e cantieri divenire economicamente “commerciabile”.

Ursula Von der Leyen, presidentessa dell’Ue ha detto che tutti gli europei sono italiani, bloccando il patto di stabilità; forse per far slittare la procedura d’infrazione sulle tasse ai porti italiani a dopo l’emergenza Covid-19? La presidentessa della BCE, Lagarde, dopo lo scivolone iniziale sull’orizzonte finanziario mondiale, ha messo in campo fondi per contenere il default di Stati e di economie asserviti a una finanza globale che decide se comprare e/o vendere asset produttivi. Forse tutto è stato montato per accelerare l’iter di approvazione in piena pandemia del MES?

2a . Questo periodo di emergenza sanitaria sta cambiando le coordinate primarie per leggere una realtà: dopo niente sarà come prima. Vuol dire che usciti distrutti, ma vittoriosi su questo virus della globalizzazione, saremo costretti a rimodulare i concetti umanitari di diritto/dovere e soprattutto di “democrazia”. Saremo costretti a cambiare molte delle relazioni che avevamo costruito e che ritenevamo solide. Una parte della nostra generazione di anziani si è trasferita “senza accompagnamento” e segnati dal “Sigillo”.

Per questo per la nostra Italia, anche se “andrà tutto bene”, si apriranno nuovi orizzonti da esplorare con nuova prospettiva: mi riferisco al lavoro; al salario, all’orario di lavoro; al concetto di nuova famiglia e al vivere in famiglia; alla scuola e al modo di fare scuola e alla sua “minima didattica” (quella on line); nuova prospettiva da (ri) vedere la finanza e sull’economia e al peso da dare al denaro. Siamo in “tempo di guerra”, scoppia una bomba nemica e gli italiani escono sul balcone e cantano e poi pensano a portare a spasso il proprio cane, come principio “unico”, o fare sport a tutti i costi. Una deriva sanitaria che cista portando ad una deriva sociale. Svegliamoci e prepariamoci non perdendo la “Speranza”, quella si ci salverà!

3a. Sul fronte marittimo, vista la mia storia professionale, non posso esimersi dal sottolineare che tutti i DPCM emanati in questo tempo di emergenza sanitaria, hanno dimenticato una categoria professionale importante a garantire il trasporto delle materie prime, necessari alla vita di un paese: quella dei marittimi tutti, imbarcati e non; la Gente di Mare. Molti sono a bordo di navi, fermati in vari porti del mondo in quarantena; altri si vedranno sbarcati per fermi volontari di navi da parte delle Compagnie di navigazione; molti ancora si troveranno senza lavoro, vista la riduzione delle corse di continuità territoriale e delle autostrade del mare.

I governi delle varie bandiere che battono queste navi, non hanno pensato a nessuna indennità e/o sussidio economico per fronteggiare questa crisi. Ancora una volta, la Gente di Mare, personale navigante e operatori portuali tutti, sta pagando un prezzo insostenibile per il fermo delle attività marittime. E’ poco quello che i vari sindacati internazionali, l’ITF per primo, stanno rivendicando; certo che la salute del lavoratore va protetta, ma va anche garantito il posto di lavoro; e poiché è vigente il regime del “doppio registro” su arruolamenti dei marittimi, la Ue e gli Stati membri dovrebbero farsi carico di tali sofferenze economiche.

Abele Carruezzo