Unione Europea: i porti italiani della discordia

Bruxelles. La Commissione europea ha chiesto all’Italia di abolire le esenzioni dall’imposta sulle società concesse ai suoi porti, al fine di allineare il suo regime fiscale alle norme sugli aiuti di Stato dell’UE. Ormai è da tempo che la Commissione Ue sostiene che i profitti guadagnati dalle Autorità portuali dalle attività economiche devono essere tassati in base alle normali leggi nazionali in materia di tassazione delle società per evitare distorsioni della concorrenza.

Teorema. La Commissione europea procede contro l’Italia per avere esentato le Autorità di Sistema Portuale dal pagare l’imposta sul reddito delle società (Ires) relativamente ai canoni di concessione incassati per gli spazi demaniali.

Il Commissario Ue. Ancora una volta,  il Commissario Margrethe Vestager, responsabile della politica sulla concorrenza, ha dichiarato: “Le regole sulla concorrenza dell’Ue riconoscono l’importanza dei porti per la crescita economica e lo sviluppo regionale, consentendo agli Stati membri di investire in essi. Allo stesso tempo, per preservare la concorrenza, la Commissione deve garantire che, se le Autorità portuali generano profitti dalle attività economiche, siano tassate allo stesso modo delle altre società. La decisione per l’Italia – come in precedenza per Paesi Bassi, Belgio e Francia – chiarisce che esenzioni ingiustificate dall’imposta sulle società per i porti distorcono la parità di condizioni e la concorrenza leale. Devono essere rimossi.”. In Italia, le Autorità portuali (oggi Autorità di Sistema e si pensa di cambiare l’aspetto giuridico) sono completamente esenti dall’imposta sul reddito delle società.

Nel gennaio 2019, la Commissione ha invitato l’Italia ad adattare la sua legislazione al fine di garantire che i porti pagassero l’imposta sulle società sui profitti delle attività economiche allo stesso modo delle altre società in Italia, in linea con le norme sugli aiuti di Stato dell’Ue.
Nel novembre 2019 la Commissione ha avviato un’indagine approfondita per valutare se le sue preoccupazioni iniziali per quanto riguarda la compatibilità delle esenzioni fiscali per i porti italiani con le norme dell’UE sugli aiuti di Stato fossero confermate o meno.

Valutazione Ue. Dopo aver concluso la sua valutazione, la Commissione ha ritenuto che l’esenzione dall’imposta sulle società concessa ai porti italiani conferisca loro un vantaggio selettivo, in violazione delle norme Ue sugli aiuti di Stato. In particolare, l’esenzione fiscale non persegue un chiaro obiettivo d’interesse pubblico, come la promozione della mobilità o del trasporto multimodale. Il risparmio fiscale generato può essere utilizzato dalle Autorità portuali per finanziare qualsiasi tipo di attività o per sovvenzionare i prezzi praticati dai porti ai clienti, a discapito dei concorrenti e della concorrenza leale.

L’Italia deve ora adottare le misure necessarie per rimuovere l’esenzione fiscale al fine di garantire che, dal 1° gennaio 2022, tutti i porti siano soggetti alle stesse norme sulla tassazione delle società delle altre società.
Nel 2019, la Spagna ha accettato di modificare la propria legislazione in materia d’imposta sul reddito delle società per allinearla alle norme dell’Ue sugli aiuti di Stato. I porti spagnoli sono soggetti alle normali norme sull’imposta sul reddito delle società dal 2020.

Osservazioni. E’ dell’altro giorno, ancora un ultimatum all’Italia da parte della Commissione, quasi a intimare che, se non ci si allinea alle norme Ue sulla tassazione dei porti, l’Italia potrebbe essere fuori dai finanziamenti per l’elettrificazione delle banchine (si parla di 30 milioni di euro). Intanto, l’Ue ha aperto una procedura d’infrazione verso l’Italia e questo non ci fa dimenticare il caso Fincantieri riguardante l’operazione Chantiers de l’Atlantique.

Il problema inizia con la riforma della portualità italiana con legge 84/94. Ritornato attuale in piena pandemia quando i mesi scorsi si è parlato di ‘autoproduzione’ e mettendo in luce vecchie diatribe tra forti interessi armatoriali che si scontrano con le varie compagnie portuali. Non sappiamo però quanto la liberalizzazione della produzione del lavoro portuale – tanto decantata e ora l’Ue chiede i conti – possa garantire la ‘polifunzionalità’dei porti e garantire l’uso delle infrastrutture portuali da parte dell’utenza che di fatto risulta diversa e concorrente con gli armatori?

Una cosa è certa: il modello della portualità nordeuropea – che si basa sulle corporatization – è differente da quello del Sud Europa e dell’Italia. Infatti, per il Belgio i porti appartengono alle imprese, così come i porti di Amburgo, Anversa e Rotterdam; in Francia i porti sono del demanio; la Spagna, anche se ultimamente si è adeguata alle norme Ue, ci sta ripensando al punto che Bilbao ha aperto un contenzioso con l’Europa.

I porti, da questo punto di vista, sono infrastrutture specializzate che interfacciano mare e terra; generano sviluppo economico dei territori e occupazione di qualità; vi partecipano operatori diversi tra di loro la cui attività ha bisogno di regole e di governance vigili e attente; tutto questo al fine di  impedire che i porti si trasformino in libere zone commerciali per gli speculatori di turno.

Per questo, le Autorità di Sistema Portuale sono enti pubblici e non economici! Hanno il compito di vigilare e regolare le attività portuali e non certo di fare business, e per questo non possono pagare l’Ires, perché sono esse stesse parte di Stato.

E’ utile ricordare quanto afferma il prof. Maurizio Maresca –  membro della Struttura di Missione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ministro Delrio –  quando sottolinea che la concessione di un’area demaniale non è un contratto di noleggio o di affitto;  la natura giuridica della AdSP  è quella di amministrare i beni demaniali nell’esclusivo interesse pubblico e dello Stato italiano; ed ancora le AdSP  non sono proprietarie dei beni demaniali e, quindi, non potendo determinare l’importi del canone demaniale, risultano giuridicamente differenti dai contraenti di una locazione.

Per l’Unione Europea, come ribadito dalla Commissione europea e dalla Corte di Giustizia dell’Ue, i profitti prodotti dai porti devono essere tassati, quale che sia la forma giuridica dell’operatore sotto cui ricadono queste attività economiche (tra queste lo sfruttamento commerciale delle infrastrutture portuali attraverso rapporti contrattuali).

Dal punto di vista politico, il Ministro De Micheli è impegnata a trovare una risoluzione che non contraddica la visione della portualità italiana; e visto che la Commissione europea si ostina a chiedere all’Italia l’impossibile e che l’Italia non concederà mai, si aspetta fiduciosi il primo gennaio 2022.

Abele Carruezzo