Brindisi merita un Piano Regolatore Portuale degno della sua importanza storica

Brindisi. Parlare di ‘pianificazione portuale’ non è semplice e rimane di fondamentale importanza per qualunque sistema portuale. I porti hanno bisogno di strumenti tecnico-infrastrutturali flessibili ed efficaci per mantenere il passo con l’evoluzione tecnologica/informatica/digitale che lo shipping mondiale e la green – economy sta imponendo.

Oggi stiamo attraversando una transizione epocale: la società è segnata dalle trasformazioni che la definiscono ‘liquida’ (Bauman), ‘del rischio’ (Beck) e dei ‘legami fragili’ (Sennett). Si parla di una visione delle relazioni post covid e post carbonio, ma soprattutto di connettività e collaborazione fra Enti. Dopo una ‘digitalizzazione’ delle informazioni con internet, con gli algoritmi che si sono impossessati della conoscenza, siamo passati alla ‘digitalizzazione’ delle relazioni sociali con i social media ‘schiavizzando’i comportamenti umani al potere degli algoritmi. Ci troviamo al nascere della ‘terza piattaforma’ che digitalizzerà il resto del mondo: cose, merci, e vettori di trasporto aereo, marittimo, stradale e ferroviario saranno leggibili dalla macchina e assoggettati al potere degli algoritmi.

Le infrastrutture di un porto rappresentano l’insieme degli elementi strutturali interconnessi che costituiscono il quadro pianificato, istituzionale, normativo ed economico capace di generare lo sviluppo di una città, provincia, regione e territorio marittimo.
II porto di Brindisi, dentro il sistema portuale del Mare Adriatico meridionale, e soprattutto porto del Mezzogiorno d’Italia e porta dell’Europa, ha un fattore di attrazione naturale che è il suo strategico posizionamento che consente di evitare deviazioni di rotta; e si spera di migliorarlo in chiave di ‘intermodalità integrativa’.

E allora la funzione operativa ed economica dei porti può essere mantenuta nel lungo periodo soltanto se anche la loro funzione sociale sarà tenuta in considerazione. Non si deve solo esprimere il cambiamento nei documenti istituzionali e nel nuovo PRP, ma occorre che tutti i portatori d’interesse, istituzioni ed Enti territoriali siano loro stessi il cambiamento.

Entrando in argomento, il decreto legislativo n.232 del 2017 ha previsto una nuova articolazione del Piano Regolatore di Sistema Portuale, che ora si compone di un Documento di Pianificazione Strategica e di Piani Regolatori di Dettaglio per ciascuno scalo del sistema. Il primo – PRSP – ha carattere di scelta strategica, i secondi – DPS e PRD – di scelta tecnica. Con Delibera del Comitato di gestione n.1 del 28 gennaio 2020 è stato adottato il Documento di Pianificazione Strategica di Sistema Portuale ai sensi dell’art.5, comma1 bis, della legge n.84 del 1994 e successive modifiche. Dopo la definitiva approvazione da parte del Mims, l’AdSPMAM avvia la redazione dei singoli Piani Regolatori Portuali per ogni porto del Sistema.

La redazione del nuovo PRP del Porto di Brindisi deve sicuramente portare rinnovamento e cercare di alimentare strumenti idonei per creare le condizioni per attrarre verso il porto flussi merceologici che attualmente prediligono altri siti. Stiamo parlando di quella ‘capacità portuale’, funzionale, operativa ed economica che dovranno avere i porti per consentire nel più breve tempo possibile l’imbarco/sbarco delle merci e, quale ‘nodo’ logistico, favorire l’integrazione a più modalità di trasporto.

Un piano che dovrà contenere la strategia essenziale per combattere la carenza di infrastrutture fisiche rispetto agli standard europei nonché servizi portuali, intesi in senso lato, non concorrenziali rispetto ai competitori in termini di costi e tempi; dovrà arginare anche la graduale, ma costante perdita di competitività del porto dentro il suo ‘sistema portuale’.

Un piano per affrontare l’incremento delle quote di mercato degli altri porti del proprio ‘sistema’ rispetto ai flussi di traffico tra paesi europei e non; la flessibilità del piano non dovrebbe sempre e comunque favorire un porto (anche se di area metropolitana) rispetto ad altri; ma la destinazione di detti traffici dovrebbe contemplare la maggiore efficienza complessiva della catena del trasporto, dell’affidabilità nei tempi di consegna e, in ultima istanza, dei costi di trasporto; evitare nel SPMAM la proliferazione del fenomeno dell’”individualismo portuale” inteso sia nel senso dell’omogeneizzazione funzionale che nella diffusione geografica dei porti adriatici, sottovalutando la possibilità di generare economie di scala nei porti; non serve più una programmazione portuale impostata sul carattere “localistico” degli investimenti portuali, spesso slegati sia da analisi oggettive sui fabbisogni sia dall’analisi comparata della pianificazione dei nodi portuali e logistici contigui del SPMAM.

La competizione fra porti del ‘sistema’ dovrebbe basarsi sulla capacità dei porti nel garantire
una piena accessibilità marittima, adeguate infrastrutture e performance nei terminal e,
soprattutto, una capillare accessibilità terrestre in termini di connessioni ferroviarie e stradali
da/per il porto, in un’ottica di catena logistica integrata door-to-door efficiente e sostenibile.
La Legge n. 84/1994, e seguenti revisioni di legge, ha dato ai piani regolatori dei porti una nuova
prospettiva: questi non si pongono più come semplici programmi di opere marittime e infrastrutturali, ma vanno intesi come articolati e complessi processi di pianificazione e gestione.

La base funzionale di uno strumento pianificatore diverso nei contenuti, nelle finalità e nei modi operativi, dovrà tener conto della fase di avanzata riorganizzazione del trasporto marittimo e, di conseguenza, del porto.

Da lato – da mare: una progressiva crescita quantitativa e qualitativa della domanda di trasporto; lo sviluppo del traffico container; l’incremento dimensionale delle navi; la ridistribuzione dei traffici rispetto alle rotte principali; l’automazione sempre più spinta nella gestione (fisica, amministrativa e doganale) delle merci; una forte concorrenza nella qualità dei servizi e nel costo delle operazioni portuali; l’affermazione infine, nella gestione dei terminal merci e/o pax in generale in gran parte gestiti dal mercato.

Dall’altro lato – da terra: un porto inteso non più come scalo terminale, ma nodo di una rete intermodale complessa, estesa all’intero territorio circostante e comprendente i servizi, le professionalità e le qualità insediative e ambientali del sistema urbano circostante.

L’esigenza di avere a disposizione spazi sempre maggiori per la movimentazione delle merci, l’efficiente sviluppo dei flussi del traffico interno, insieme a ragioni di sicurezza e di controllo doganale, le nuove tecnologie (spesso generatrici di alti livelli di rumorosità) per carico e scarico, ha portato da un lato a isolare alcune aree portuali, dall’altro a decentrare molte attività.

Gli Enti territoriali e locali, visto il processo di dismissione e di sottoutilizzazione delle aree
portuali più a ridosso della città, hanno riscoperto gli antichi legami tra la città e il porto, promuovendo una pluralità d’iniziative tese al recupero del fronte a mare. Oggi è necessario ragionare in termini di complessità, d’integrazione, ma anche di flessibilità e di selezione degli ambiti d’intervento in poche aree e direttrici strategiche.

Occorre riconoscere al porto la sua identità e autonomia.
Il porto è un nodo complesso, articolato al suo interno in zone funzionali, è connesso, a sua volta, con altri nodi: con la città stessa, con i nodi trasportistici distribuiti sul territorio e con le aree produttive.

Gli operatori dovrebbero analizzare le singole interconnessioni, lo spazio di tramite tra i
nodi, la qualità funzionale, urbana e ambientale, delle direttrici che garantiscono l’accesso al porto.
L’accesso al porto, oggi, è parte di una rete infrastrutturale di dimensione territoriale che interagisce in modi specifici con le diverse realtà locali.

Il Piano Regolatore Portuale deve partire da un’approfondita conoscenza delle sue diverse parti funzionali e dalle loro prospettive di trasformazione nel breve e medio periodo.

Ogni nuovo piano regolatore di ogni singolo porto del sistema non sarà una semplice ‘foto’ del porto alla data di redazione, ma conterrà elementi strutturali per ri-pensare nuove banchine e dimensioni di strutture adeguate all’evoluzione di nuove navi, alle tipologie di bunker per carburanti non climalteranti, nuove modalità di stare in banchina, alle nuove unitizzazioni delle merci ed infine alle nuove tecnologie digitali per un port smart.

Gli operatori portuali dovrebbero definire nell’ambito portuale, in accordo con l’Autorità marittima del Compartimento:

a) un sotto-ambito portuale in senso stretto (il porto operativo, tecnico, l’area più funzionale all’economia e all’efficienza delle attività portuali), che comprende le interconnessioni infrastrutturali, viarie e ferroviarie, di collegamento con l’entroterra contenute nell’ambito portuale (v. art. 5 comma 1 della Legge n.84/1994);

b) un sotto-ambito d’interazione città-porto (dove collocare altre attrezzature portuali ma anche propriamente urbane legate ai servizi, al commercio, alla cultura, alla direzionalità), che comprende gli innesti e gli affacci urbani, rivolti a collegare il tessuto della città con le aree portuali più permeabili e più compatibili con i flussi e le attività urbane.

I contenuti del piano strutturale sono di diversi ordini. Il primo, che in via di estrema sintesi può considerarsi “descrittivo”, riguarda le caratteristiche fondamentali dei luoghi stessi ai quali si applica il piano (le cosiddette “invarianti”), ovvero gli elementi che possono essere considerati “permanenti”, almeno rispetto ai tempi di attuazione previsti dal piano stesso.

Tra queste caratteristiche rientrano certamente i caratteri fisici dominanti del territorio (geomorfologia, etc.), ma nel caso delle città anche l’assetto generale degli insediamenti, considerato nei suoi caratteri essenziali i quali, sulla base delle dinamiche in atto, nella maggioranza delle situazioni possono cambiare radicalmente nell’arco di un tempo considerato.

La gestione di un porto, polivalente commercialmente, hub carrier o gateway, non significa soddisfare una sola declinazione territoriale, ma utilizzare le infrastrutture presenti (banchine e piazzali, quando non compromettono la sicurezza dell’ormeggio) e programmare delle nuove in funzione della domanda di trasporto marittimo su quel porto e/o regione marittima.

Abele Carruezzo