L’ADOZIONE DEL NUOVO PIANO REGOLATORE DEL NUOVO PORTO DI BRINDISI: ELEMENTI CHIAVE, OPPORTUNITA’, CRITICITA’

L’adozione del nuovo piano regolatore (PRP) del porto di Brindisi rappresenta un evento determinante per gli anni a venire.

Dopo cinquant’anni dall’adozione dell’attuale documento programmatorio – oggi, invece, divenuto pianificatorio per effetto dei mutamenti legislativi – e superata l’approvazione del nuovo DPSS (Documento di Pianificazione Strategica di Sistema Portuale), il porto, finalmente, si dota di uno strumento con cui affrontare il prossimo trentennio.

Questo, difatti, è l’orizzonte temporale che il nuovo piano si prefigge. Un documento, è bene sottolinearlo, che vuole raggiungere il 2040 disegnando per il porto brindisino tutto ciò che è strettamente “necessario” e “possibile”, sotto tre diverse linee strategiche: quella ambientale, quella della logistica e, infine, quella regolatoria.

Senza entrare troppo nello specifico – la sola lettura della relazione introduttiva al PRP è attività impegnativa – mi limiterò a evidenziare gli elementi chiave, le opportunità e le criticità di questo nuovo strumento urbanistico.
Partendo dai primi, il piano si muove lungo direttrici, oserei dire, “antiche”. Anzitutto, vi è una certa continuità di pensiero col vecchio piano del 1975 che si esprime nell’intento di liberare il porto vecchio, non più adatto alle esigenze della movimentazione commerciale, restituendolo alla città e agli usi comuni.

Ciò spiega, per esempio, perché si è deciso di esternalizzare le aree, attualmente nel porto interno, dedite alla sosta dei rimorchiatori e delle unità militari oltreché alla cantieristica navale.

I porti di oggi, del resto, “hanno una propria identità formale, operativa e amministrativa, con esigenze di autonomia funzionale e sono organizzati come delle macchine logistiche che devono operare in totale sicurezza” (v. paragrafo 3.3. della Relazione Introduttiva al PRP).
Va accolta con estremo favore, dunque, la via dell’esternalizzazione delle attività portuali assieme ad una intelligente rifunzionalizzazione delle banchine, rendendo quest’ultime adatte ai traffici consueti e più promettenti per il nostro scalo.
E per capire di quali traffici si tratti, basta volgere lo sguardo alle funzioni che l’ASDP MAM (Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale) attribuisce al nostro porto: “funzione industriale, commerciale, passeggeri e merci” (v. paragrafo 3.1. della Relazione Introduttiva).

Traffici che abbisognano di ampi e dediti spazi, di banchine funzionali e moderne, di fondali adeguati, tutti in grado di generare ricchezza e polifunzionalità per il nostro scalo, al riparo da sempre più frequenti shock endogeni ed esogeni.

Per consolidare questi traffici si è pensato – altro elemento chiave di questo nuovo piano – di migliorare la dotazione infrastrutturale esistente e di pianificare pochi e mirati interventi nel porto esterno (Sono descritti a partire da pagina 64 della Relazione Introduttiva al PRP) quali:

-il Terminal di Capo Bianco;
-il Molo Polimeri;
-il Terminal Crociere di Punta Riso;
-il Piazzale Radice Est di Costa Morena.

Tutti questi interventi, uniti alla implementazione delle ZFD/ZES e al completamento delle opere già programmate e finanziate (si pensi, ad esempio, agli accosti di Sant’Apollinare così come al raccordo ferroviario), dovrebbero consolidare e migliorare il posizionamento del porto di Brindisi che, usando le parole della Relazione Introduttiva, “è di gran lunga il più grande del sistema (rectius, portuale regionale) e quello con le maggiori potenzialità di sviluppo, soprattutto per il traffico commerciale”.

Tante, dunque, sono le opportunità che questo nuovo piano può generare per il nostro scalo, peraltro in condizioni di favore rispetto a molti porti concorrenti sotto il profilo ambientale: si pensi all’ottima protezione del bacino portuale dall’ingresso del moto ondoso così come alla disponibilità di fondali che, già oggi, consentono l’accesso in sicurezza alle navi di nuova generazione.

Vengo, a questo punto, alle criticità di questo piano. In ordine sparso, il rapporto città/porto, la perimetrazione SIN e il dragaggio di alcune aree portuali, la minaccia degli scali concorrenti (nazionali ed esteri) e la lentezza delle attività amministrative.
Per primo, la definizione delle aree di interazione città/porto, pur non ricadendo nel perimetro della pianificazione portuale, è un tema assai complesso su cui la relazione introduttiva al PRP si sofferma abbondantemente.

Oggi il porto interno è un “grande vuoto” (v. pagina 23 della Relazione) e vi è l’urgente bisogno di definirne il futuro. Un futuro in cui, certamente, il porto interno deve divenire ambito urbano senza dimenticare, tuttavia, tutte le potenzialità che esso può offrire per il traffico crocieristico di nicchia e la nautica da diporto.

Proprio per questo motivo sarebbe auspicabile che il Comune pianificasse le aree di interazione città/porto – previa intesa con l’ADSP MAM – alimentando tutte le diverse vocazioni che il bacino portuale interno offre.

Una ulteriore criticità è data dalla ricaduta del bacino portuale, quasi del tutto, all’interno della perimetrazione SIN che rallenta, ancor di più, i procedimenti amministrativi per la realizzazione di nuove opere e/o il semplice dragaggio dei fondali marini. Anche su questo punto, c’è il forte bisogno di una comunione di intenti tra i vari livelli governativi affinché si giunga, prima possibile, alla riperimetrazione delle aree SIN e alla bonifica dei terreni/fondali portuali.

Vi sono, infine, due temi che, a mio parere, meritano congiunto approfondimento. Mi riferisco alla minaccia degli scali concorrenti e alla lentezza delle attività amministrative.

Lo scalo di Brindisi si muove, al pari di tutti i porti, in uno scenario che, giorno dopo giorno, diviene sempre più complesso e competitivo così’ come evidenziato dall’analisi SWOT contenuta nella stessa Relazione Introduttiva al PRP (v. capitolo 5, pagine 42 e ss.).

In un simile contesto, ora più che mai aggressivo, è impensabile che:

-una comunità portuale attenda una o più decadi per il completamento di nuove infrastrutture. Vi è, infatti, il potenziale rischio – intelligentemente richiamato nella stessa Analisi SWOT – che gli operatori locali, attori della crescita del porto, vengano accolti da porti concorrenti con accordi di lungo periodo;

-si progettino e realizzino opere che, ove non coordinate nel contesto portuale e industriale, rischiano di compromettere l’operatività esistente dello scalo e il suo futuro sviluppo.

Per impedire ciò, sarebbe necessario imprimere maggiore speditezza ai procedimenti amministrativi, approfittando, in tal senso, dell’attuale processo nazionale di sburocratizzazione e bilanciando, con buon senso e lungimiranza, i vari interessi pubblico/privati in gioco.

Obiettivo palesemente fallito negli ultimi decenni ma che, si spera, possa essere raggiunto nei prossimi anni.

Stefano Carbonara

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