L’AUTOPRODUZIONE DEL SERVIZIO DI PILOTAGGIO NELL’ORDINAMENTO ITALIANO

Mutuando una definizione accademica, il servizio di pilotaggio consiste in quella particolare attività di assistenza tecnica al comandante della nave, circa le indicazioni relative alla rotta e all’esecuzione della manovra (v. art. 92 del Codice della Navigazione), che viene svolta in acque in cui la navigazione, per lo stato dei luoghi e/o per le condizioni del traffico, può presentare difficoltà e rischi non ordinari.

Si tratta di un servizio tecnico-nautico di interesse generale, caratterizzato da una elevata mescolanza di elementi pubblicistici e privatistici, che viene riservato dal Legislatore italiano ai piloti pratici riuniti in cosiddette Corporazioni.

Finora la riservatezza di tale attività unita ad ulteriori caratteristiche quali, ad esempio, la sua obbligatorietà (in alcuni casi) nonché il suo meccanismo di determinazione tariffaria, hanno escluso che il servizio di pilotaggio fosse oggetto di autoproduzione. La finalizzazione del servizio di pilotaggio ad esigenze collettive di sicurezza della navigazione e dell’approdo nei porti, in sostanza, giustificherebbe la compressione dello stesso diritto all’autoproduzione in capo all’impresa armatoriale.

Difatti in un estratto della recente sentenza del TAR Sicilia – Catania, n. 495 del 16 febbraio 2015, è stato evidenziato che “i servizi nautici ancillari sono strumentali alla sicurezza dell’intero specchio acqueo del porto, inteso come tratto di mare in cui sono compresenti diverse imbarcazioni ed operatori; essi, quindi, non devono essere guardati, in una ottica riduttiva, come mero ausilio prestato alla conduzione della singola nave in ragione della mancata o insufficiente conoscenza del sito di navigazione e/o approdo”.

Vale a dire, le esigenze di sicurezza sorgono non solo per effetto della mancata o insufficiente conoscenza del sito di navigazione e/o approdo quanto e soprattutto, invece, per la contestuale presenza, in una determinata area marittima, “di più imbarcazioni in manovra, con rotte incrociate, i cui movimenti e posizioni devono essere necessariamente conosciuti da un organismo unitario”.

“Alla luce di tale primaria esigenza – così prosegue il TAR Sicilia – il servizio di pilotaggio non potrebbe essere svolto in proprio da ogni armatore, a beneficio delle sue navi, in quanto i singoli conducenti, ancorchè tecnicamente capaci ed esperti, non potrebbero avere quella visione d’insieme del traffico portuale necessaria a gestire le operazioni in totale sicurezza. Sicurezza che, per contro, viene garantita solo da una regia unitaria che coordini gli interventi dei vari piloti presenti, in un determinato momento, nel porto”.

Del resto il servizio di pilotaggio, alla pari degli altri servizi tecnico-nautici di interesse generale, dovrebbe essere sempre erogato sulla base dei principi di doverosità, continuità, universalità, regolazione e sorvegliabilità, con conseguente impossibilità per l’armatore di produrre il servizio a proprio esclusivo beneficio.

Ad analoghe conclusioni è giunta la stessa Corte di Cassazione a Sezioni Unite che, nella pronuncia n. 6488 del 2012, ha aggiunto come il diritto all’autoproduzione del servizio di pilotaggio sia ostacolato dalla previsione di cui all’art. 9, co. II, della Legge n. 287/1990 (Norme a tutela della concorrenza e del mercato).

Sulla scorta di tali considerazioni, pertanto, il Legislatore italiano non ha voluto adottare i cosiddetti Pilotage Exemption Certificates (PECs). Quest’ultimi sono dei certificati che abilitano il comandante di una nave a compiere una manovra di entrata e/o uscita dal porto senza il ricorso del pilota a bordo. Il rilascio di tali certificati di esenzione dall’obbligo di pilotaggio avviene a condizione che il comandante della nave vanti una certa familiarità con un determinato porto, avendovi già compiuto un numero elevato di manovre con un pilota a bordo.

Tali certificati, diffusi in molti paesi rivieraschi del Nord Europa (si pensi, ad esempio, alle c.d. Licence de capitaine pilote in Francia, alle c.d. Exenciones de practicaje in Spagna ecc.) non sono stati adottati dall’Italia così come dalla Grecia, dalla Romania e, infine, da Cipro. In questi paesi, difatti, i costi del servizio di pilotaggio appaiono sensibilmente inferiori rispetto al Nord Europa (v. il rapporto sui PECs della Commissione Europea del settembre 2012); in Italia, tra l’altro, si sostiene da tempo che il servizio di pilotaggio via radio (VHF e/o c.d. Shore based pilotage), a dispetto della sua scarsa diffusione, abbia dei costi di esercizio minori rispetto al servizio tradizionale e ciò, in pratica, giustificherebbe la mancata adozione dei sopraccitati PECs.

L’inesistenza del diritto all’autoproduzione del pilotaggio sarebbe altresì data dalla natura di questo servizio. Generalmente il diritto all’autoproduzione viene inteso quale misura eccezionale operante in un mercato monopolizzato. Quest’ultima condizione, tuttavia, sembrerebbe mancare nel caso di specie in quanto, secondo il TAR Sicilia, il mercato del servizio di pilotaggio non configura un mercato monopolizzato né legalmente né naturalmente. Anzi, proseguono i giudici amministrativi, si potrebbe parlare finanche di più Corporazioni dei piloti (v. artt. 86 e 96 del Codice della Navigazione), realizzando così quella concorrenza dei servizi tecnico-nautici tanto voluta dall’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza del Mercato) e dalla Commissione Europea.

Stefano Carbonara


Link dello studio della Commissione Europea sui PECs:

https://ec.europa.eu/transport/sites/transport/files/modes/maritime/studies/doc/2012-09-18-pec.pdf