(Foto courtesy redazione QualEnergia.it)
Aumenta la quota di energia elettrica prodotta con il combustibile fossile. Mentre Ambientaisti si confermano contrari a finanziamenti alla ricerca universitaria, mettendo al bando anche il nucleare di nuova geberazione, il mondo reale avanza e adotta la soluzione più pragmatica per sostenere produzione, lavoro, export e Pil
Pechino. Lo scorso anno, a dispetto del miraggio della decarbonizzazione totale, è aumentata la quota di energia elettrica prodotta dalle centrali a carbone.
A livello mondiale è stato bruciato il 2% in più del combustibile fossile rispetto agli anni precedenti.
Uno smacco tecnologico del genere non si vedeva da quattro anni contro il settore dell’eolico e fotovoltaico a scapito delle celebrazioni sulle emissioni nette zero; malgrado gli sforzi profusi da buona parte dell’Occidente, con relativo impegno a chiudere o a riconvertire il più rapidamente possibile le centrali più vetuste e inquinanti.
Anche perché quando, come è avvenuto lo scorso anno, ad aumentare il ricorso al carbone è la Cina di Xi Jinping, cioè la “fabbrica del mondo”, c’è poco da fare per Europa e Stati Uniti. Entrambi, peraltro, hanno rallentato i piani di chiusura delle loro vecchie centrali, complici probabilmente il conflitto in Ucraina e il caro energia che hanno messo a dura prova i bilanci di famiglie e imprese.
Il resto lo hanno fatto molti degli altri Paesi in via di sviluppo, come Pakistan, India, Vietnam o Bangladesh da cui arrivano via container tramite il Canale di Suez tanti dei prodotti di uso quotidiano nel Vecchio Continente.
E’ quasi superfluo ricordare che il danno maggiore, economico e per l’ambiente, sarà per i paesi privi del nucleare. Come la Germania che ha deciso l’addio all’atomo e ancora più all’Italia che lo evita da 50 anni ma si approvvigiona dalla vicina Francia di energia elettrica ricavata dalle centrali nucleare del colosso pubblico Edf.
Molti si chiedono se il processo di decarbonizzazione unilaterale deciso dall’Unione europea possa trasformarsi in un vero e proprio harakiri. I dati confermano che l’India prevede di arrivare al picco di consumo del carbone tra il 2035 e il 2040, mentre la Cina non prima del 2030. Non solo, l’obiettivo net zero per Nuova Delhi è il 2070 mentre per Pechino formalmente si colloca attorno al 2060.
Pechino si conferma il maggior produttore e consumatore di carbone al mondo. Pesa per circa il 60% del consumo di carbone globale, in gran parte per la produzione elettrica.
La Cina continua sia ad aumentare la domanda (del 5% nel 2023) e sta ampliando il network di centrali a carbone con uno score di 47,44 GW di nuova capacità installata nel solo 2023, quasi il doppio rispetto al 2022.
Secondo l’Ente di certificazione norvegese DNV solo dopo il 2026 inizierà un lentissimo processo di riduzione dei consumi che entro il 2040 si ridurranno di 1/3 per poi stabilizzarsi al 2050 a circa il 25% rispetto ai volumi record..
Emblematica anche la crescita record dei trasporti di carbone su una ferrovia, quella fra Datong e Qinhuangdao, esclusivamente dedicata al trasporto di carbone: nel 2023, l’arteria del trasporto energetico cinese ha superato i 422 milioni di tonnellate, con un aumento del 6,4% su base annua, raggiungendo un nuovo record degli ultimi quattro anni.
La ferrovia Datong-Qinhuangdao è una ferrovia elettrificata progettata esclusivamente per il trasporto di carbone dalle province dello Shanxi, dello Shaanxi e dalla Regione autonoma della Mongolia Interna verso i porti energetici di Qinhuangdao e Caofeidian. Il suo volume di trasporto di carbone rappresenta circa un quinto del carbone totale del Paese trasportato su ferrovia.
Mentre la ‘transizione energetica’ dell’Occidente fatica a realizzarsi, la Cina continua a foraggiare l’energia fossile all’estero, nonostante le promesse di Xi Jinping del 2021. L’Indonesia riceve gran parte del supporto per l’uso del carbone, mentre grandi impianti a petrolio e a gas sorgono in Uzbekistan e in Nigeria.
Le aziende del grande Paese asiatico sono infatti i principali fornitori di servizi di ingegneria, approvvigionamento, costruzione e finanziamento per le nuove installazioni in Indonesia, Bielorussia, Bolivia, Kazakistan, Cuba, Malesia, Thailandia, Uganda, Uzbekistan e Nigeria, confermando gli accordi con i paesi del raggruppamento BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Iran -2024 – e la new entry Indonesia -2025).