La mediazione italiana della Nuova Via della Seta

Mentre i pescatori di Barletta si fanno disertori di una strana chiamata a pescare in un mare non più di pesci ma di plastica, il signor Daniele Cascella ci offre un primo piano di acque torbide di liquami del solito canale alluvionale Ciappetta Camaggio. Puro risultato tra malapolitica e inquinamento ambientale in cui presto potrebbe ritrovarsi la sorgente di Andria (Gazzetta del Mezzogiorno 12 marzo).

D’altro lato, mentre il sindaco Cannito dice di voler capire ancora cosa sarebbe la storia di Barletta come antica città marinara – pur senza contare conseguenti inappetibili piani strategici sul turismo culturale -, incombe come uno strano marziano, l’imprevista figura in Italia del Presidente cinese Xi Jinping per siglare il Memorandum commerciale con il Governo.

È in questo contesto che Barletta si propone – come antica città /repubblica marinara, secc. XII-XIX, con il suo porto dell’AdSP MAM e area industriale della Zes Adriatica -, nel solco proprio della via della seta dai tempi di Marco Polo (dal sec. XIII-XIV in poi). Una città ed una Via della Seta che oggi avrebbe a buon diritto di dire la sua, in prosieguo di quanto già avemmo accennato nei primi di gennaio 2019.
Cosa offrirebbe l’Italia e l’Europa, tra i grandi e mutevoli scenari del commercio mondiale?

Tra Occidente e Oriente, quali riproposizioni identitarie di sviluppo effettivamente culturali? Quale sarebbe il ruolo del governo italiano, tra il ragionevole neo protezionismo commerciale degli Stati Uniti e un’eccessiva generosità nell’elargizione di capitali cinesi per infrastrutture portuali in Europa, Africa e America Latina per le obsolete infrastrutture portuali italiane? Grandi e piccole repubbliche marinare sarebbero in svendita con i loro porti ed i loro mirabili centri storici, oppure andrebbero unitariamente meglio tutelati e valorizzati?

La nuova Via della Seta (Silk and Road) – dopo quella del secc. XIII-IV italica ed europea di Marco Polo e di Manuali della Mercatura Occidentale – è il nuovo grande palcoscenico globale dove gli effettivi attori del teatro decidono di recitare il proprio ruolo, dietro le quinte. La vasta platea planetaria dovrà accontentarsi solo di uno strano altalenante bisbiglio e assordante vociare degli stessi attori principali.

Firmare o non firmare il memorandum tra Italia e Cina? l’Italia sarebbe il primo Paese del G7 e il primo membro fondatore dell’Europa ad aderire al grande piano cinese. Finora hanno firmato quasi 70 Paesi nel mondo, ma in Europa solo governi della “periferia”, come Ungheria e Grecia. Un assenso al memorandum commerciale cinese sarebbe il riconoscimento di una delle prime sette potenze economiche del mondo (G7), e quindi avrebbe un valore di tipo globale, che gli Usa e l’Europa non accetterebbero. Il secondo aspetto non meno importante di quello commerciale, è il grande valore simbolico e quindi culturale che rappresenta l’Italia sia nella tradizione storica e simbolica della Nuova Via della Seta, sia nella sua posizione centrale nel Mediterraneo.

Il Governo prosegue le precedenti relazioni con la Cina. Già da tempo tra Roma e Pechino si auspicava una certa regolarità degli incontri diplomatici. La migliore periodicità pare che non sia stata tutta merito del Governo giallo verde, il quale ha semplicemente proseguito il cammino del governo Gentiloni (che aveva già partecipato al Belt Road forum for International Cooperation).  Poco prima si era consumata la visita anche dell’allora premier Renzi. Poi a fasi regolari quella del sottosegretario Scalfarotto, per un anno e mezzo di durata del suo mandato.

Ancor prima, a spianare la strada verso Pechino era stato il Presidente Giorgio Napolitano nel 2010, poi seguito da una vera e propria visita di Stato molto importante: quella del Presidente Sergio Mattarella nel 2017.  E ancora, hanno fatto seguito (prima e dopo l’attuale Governo) delegazioni in Cina da parte dei presidenti delle AdSp, (tra i quali della Puglia Mam), quella dell’Assoporti e del Propeller Club Italia, della Confitrama, etc.. Particolarmente chiara è stata quindi la correttezza del Governo, considerato che il Sottosegretario Geraci ha proseguito molte visite in Cina oltre a quella del ministro Tria a fine agosto e di altri ministri come Di Maio, poi replicata durante il mese di novembre a Shangai con numerosi attori e stake holder. Tutti orgogliosi di presentare grandi opportunità di investimenti grazie alla recente Riforma del Sistema Portuale, poi con le istituzioni delle Zes al sud, e delle Zls a nord.

Per l’assoluta corretta continuità, già avviata da 4 o 5 anni, all’Italia spetterebbe un ruolo di attento ed equilibrato mediatore permanente da un lato verso la Cina, e dall’altro verso gli Stati Uniti, l’Europa e l’Africa. Se l’Europa appare allineata agli Usa, perché alcune nazioni si stringono sempre più verso una sorta di rapporto bilaterale con la Cina? Perché le potenti nazioni europee, come la Germania e la Francia, preferiscono far sentire la propria voce dietro l’ovattato sipario dello scenario globale? Si pensi solo ad esempio al fatto che la Merkel nel corso del suo mandato sarebbe andata in visita in Cina ogni anno e forse più.

Oppure alla Francia, che pare contendersi l’Africa con la stessa Cina. Un beneficio comune per tutti, dovrebbe ripartire dalla decisione unitaria della Commissione Europea di concerto con l’Italia e gli Usa.
Le diversità culturali e prudenze diplomatiche. Anche per queste ragioni, la costanza dei rapporti sulla Silk and Road (Bri), tuttavia, non si giocherà semplicemente in termini di mega infrastrutture, ma anche di autentiche relazioni culturali tra popoli culturalmente diversi tra loro.

Il motto, ad esempio, della diplomazia cinese verso ogni popolo e nazione – secondo cui ti presto una certa somma di moneta, ma in caso di insolvenza mi approprio del pezzo di una certa portualità ove ricade la relativa ipoteca – non potrebbe essere reso meno rigido e più flessibile al pensiero occidentale, visto che la recente edizione europea del Financial Times di questi giorni titolava: «Il rimprovero Usa scatena le divisioni a Roma sulle aperture agli investimenti cinesi»?

Nell’attuale commercio internazionale, dazi e dogane trovano un proprio ascendente nei primi anni del ‘300, in Europa, Mediterraneo e sulla Via della seta, mostrano come quella degli Usa, non sarebbe affatto stata una mossa avventata, ma ponderata secondo i nuovi rapporti e scenari commerciali globali, che andrebbero, appunto, sufficientemente storicizzati. Intanto la Cina sta suggellando la sua egida portuale sulla Grecia, Portogallo e Romania, mentre in Italia si accinge ad una sorta di spezzatino tra i porti terminali di Trieste, Venezia, Ravenna e Noli Ligure.

Quali sarebbero i tesori che effettivamente affratellerebbero i popoli, se non quelli sedimentati lungo i secoli con la Via della seta italica delle 4 grandi repubbliche marinare (Amalfi, Venezia, Genova, Pisa) e 4 piccole repubbliche marinare (Ancona, Noli, Gaeta e Barletta)? Del resto, i porti-core delle 15 sedi AdSP compresi i 54 porti delle rispettive appartenenze non sono tutto sommato gli stessi della Via della seta dei tempi di Marco Polo?

Se la potestà normativa sulle identità culturali dello Stato italiano, – confermato da una nostra fase interlocutoria presso il Senato – si presenta tuttora frammentata tra le sue 20 regioni, perché lagnarsi di una atavica assenza identitaria nazionale, proprio nell’attuale nello scenario globale? Perché dunque non ripartire dalla naturale centralità e potestà del Parlamento italiano (Camera e Senato)? Perché non promuovere istanza all’Unesco, per un suo riconoscimento dei centri storici di tutte le repubbliche marinare italiche, piccole e grandi?

L’antica saggezza della tradizione diplomatica. Lo storico successo, quello della Via della seta Italico-Europa, non è stato forse il frutto di reciproche e trasparenti relazioni diplomatiche tra l’imperatore della Pax Mongola, Kubilai Khan e la diplomazia europea: dai Pontefici di allora a re Luigi IX, il Santo (1214-1270), fino allo stesso Marco Polo (1254-1324)? Il quale insieme al padre Niccolò e allo zio Matteo viaggiò a lungo in Asia percorrendo la Via della seta e attraversando tutto il continente asiatico fino a raggiungere la Cina (Catai), ove l’imperatore lo nominò come prescelto tra tutti i suoi ambasciatori.

Kublai Khan, fondatore della dinastia Yuan cinese, grande tessitore di relazioni con altri popoli, voleva sapere molto sull’Europa, e specialmente sul Papa e sulla chiesa romana. Dopo un anno in Cina, i fratelli Polo furono appunto rimandati in Europa dall’imperatore con una sua lettera a papa Clemente IV (1268). In questa lettera, il Khan chiedeva al Papa di mandargli cento uomini dotti per insegnare al suo popolo sul cristianesimo e la scienza occidentale. Inoltre chiedeva che il Papa gli procurasse l’olio dalla lampada del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Si dové quindi attendere l’elezione del nuovo papa Gregorio X (nel 1271).

Inoltre, dal medio oriente fino al Catai, le città pullulavano di cristiani nestoriani, e l’imperatore pensava ed operava per una effettiva pax fra tutti i popoli. Dopo i noti cimeli culturali, dalla bussola alla carta perfezionata dalla repubblica di Amafi, vi sarà il primo mappamondo esteso fino alla Cina, quello di Fra Mauro del sec. XV (Biblioteca Marciana di Venezia). Poco dopo, il grande missionario gesuita Matteo Ricci (1552 -1610), spiegherà e diffonderà le basi della cultura occidentale riconosciute dalle stesse autorità cinesi.

I successivi benefici che l’Europa e l’Italia trassero dalla via della seta di Marco Polo, furono dati dalla capacità di produrre in proprio non solo la seta e i rispettivi mercati, ma anche una estensione e ammodernamento e omogeneità dei mercati (allora molto frammentati) per innumerevoli prodotti allora sconosciuti. E ancora, si ebbero le prime decodificazioni inerenti alle molteplicità di lingue locali sulle unità di misure, pesi, normative portuali di imbarco e sbarco e denominazioni dei prodotti, etc. Ed il tutto si traduceva in nuove forme di relazioni commerciali, diplomatiche e sociali.

Una possibile proposta sul Memorandum. Se dunque, secondo le preoccupazioni Usa, il sistematico finanziamento cinese del debito pubblico di molte nazioni metterebbe a rischio la sicurezza delle stesse nazioni coinvolte, la Cina dovrebbe ripensare ad una nuova filosofia di aiuti, molto più duttili e non ad uso coloniale. D’altro lato, il nostro suggerimento di sempre, cioè quello di dare priorità alle reciproche relazioni culturali, oggi si scorge tra i sei settori della collaborazione tra Italia e Cina previsti dal Memorandum of undestandin (Mou) per la nuova Via della seta, ove al 5° punto si legge: la collaborazione culturale, universitaria e in ambito Unesco dei rispettivi Paesi; infine il 6° settore: Cooperazione allo sviluppo ecosostenibile, con politiche congiunte di protezione ambientale e dei mutamenti climatici.

Il problema tuttavia consiste nell’invertire le priorità in tale Memorandum (Mou): Tra i sei settori della per la nuova Via della Seta, che contemplano sei priorità: 1) Line guide normative, 2) Trasporti, logistica e infrastrutture, 3. Commercio e investimenti liberi, 4. Cooperazione finanziaria, 5. Connettività da persone a persone, 6. Cooperazione allo sviluppo verde; si potrebbe ripartire dando priorità agli ultimi due punti il 5° sulla collaborazione culturale ed il 6° sulla cooperazione ecosostenibile.

Aspetti questi sostenuti anche in premessa dello stesso Memorandum ove si ricorda: l’impegno ivi espresso per promuovere il partenariato bilaterale in uno spirito di rispetto reciproco, equità e giustizia e in modo reciprocamente vantaggioso, nella prospettiva di una solidarietà globale rafforzata; Consapevole del patrimonio comune storico sviluppato attraverso le rotte terrestri e marittime che collegano l’Asia e l’Europa e del tradizionale ruolo dell’Italia come terminale della via della seta marittima.

La storia madre del dialogo. una strategia culturale, come abbiamo detto, storicamente già proficuamente sperimentata tra l’ambasceria italica e kublai Khan, ovvero da un lato i pontefici (Clemente IV e Gregorio X) e Marco polo, con suo padre Nicolò e suo zio Matteo, e dall’altro lo stesso imperatore unico. Del resto, non fu grazie a Marco Polo che Cristoforo Colombo ebbe a scoprire l’America, per pure ragioni di sfide anche culturali?

 

Dott. Nicola Palmitessa
Centro studi: La cittadella Innova