Naufragio Norman, tre condanne

Naufragio Norman,

(Foto archivio courtesy M.M.)

Tre condanne per naufragio colposo a comandante, primo ufficiale e marinaio, 23 tra assoluzioni e prescrizioni dei reati

Bari. Dopo nove anni tra indagini, udienze-fiume, un lunghissimo incidente probatorio e qualche rinvio, il Tribunale di Bari ha emesso la sentenza di primo grado sul naufragio della Norman Atlantic, avvenuto nel Canale d’Otranto il 28 dicembre 2014 in cui persero la vita 31 persone e 64 rimasero ferite.

Imbarcazioni, rimorchiatori ed elicotteri provenienti da Italia, Grecia e Albania furono impegnati in lunghe e faticose operazioni di soccorso, rese ancora più difficili dal mare in burrasca.
Il naufragio del traghetto, in viaggio dalla Grecia ad Ancona, fu causato da un incendio che partì nel ponte 4 poco dopo le ore 03 della notte; secondo la ricostruzione degli inquirenti, le fiamme scoppiarono perché, la nave aveva imbarcato un numero di camion-frigo superiore alle prese elettriche disponibili nei garage, costringendo i mezzi a viaggiare con i motori accesi; aa uno di questi camion sarebbe dunque scoppiato l’incendio.

Il Tribunale (presidente Marco Guida) ha condannato a sei anni di reclusione il comandante della nave, Argilio Giacomazzi, a cinque anni e quattro mesi il primo ufficiale di macchina Gianluca Assante e a tre anni il marittimo Francesco Nardulli. I tre sono gli unici riconosciuti colpevoli del naufragio: Giacomazzi perché (in concorso con altri imputati non condannati) “con grave imprudenza” – è scritto negli atti dei PM Ettore Cardinali e Federico Perrone Capano, che hanno coordinato le indagini – ha consentito la partenza della nave “pur in presenza di mezzi con motori principali o ausiliari accesi”, con il carico “mal distribuito” e “senza rispettare le distanze tra i mezzi e le pareti della motonave, in presenza di previsioni e condizioni meteo-marine pessime (burrasca con vento da Sud forza 8)”.

Per il primo ufficiale Assante per aver “attivato in modo errato l’impianto antincendio Drencher, aprendo le valvole del ponte 3 (ponte sbagliato) invece che del ponte 4 (ponte giusto)”.
Per il marinaio Nardulli per non aver completato il “giro di ronda” previsto e, dunque, per non aver rilevato “visivamente l’incendio in atto e consentire di azionare il sistema antincendio”.

Gli altri reati a loro contestati, tra cui l’omicidio colposo, sono finiti in prescrizione anche perché il Tribunale non ha riconosciuto l’aggravante della violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro.
L’armatore Carlo Visentini è stato assolto dal reato di naufragio per “non aver commesso il fatto”, mentre per gli altri reati che gli venivano contestati è stato disposto il non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
Esclusa anche la responsabilità delle Compagnie Visemar (proprietaria del mezzo) e Anek (noleggiante) per l’insussistenza degli illeciti contestati.

“Grande soddisfazione” per la sentenza è stata espressa dal Procuratore di Bari, Roberto Rossi: “E’ stato accolto l’impianto accusatorio. Purtroppo, nonostante il lavoro enorme dei giudici, si è dovuta dichiarare la prescrizione”. In tutto, 21 persone fisiche sono state assolte o è stato dichiarato il non doversi procedere per l’intervento della prescrizione.

Da subito, il relitto della Norman Atlantic,’ancora fumante’, fu attraccato ad una banchina operativa (Costa Morena nord) nel porto di Brindisi, grazie alla società Fratelli Barretta ed alla professionalità degli equipaggi dei suoi rimorchiatori. L’Autorità Portuale di Brindisi si era immediatamente attivata per far sì che ai migranti prima e ai naufraghi dopo fosse riservata la migliore delle accoglienze, predisponendo non solo la messa a disposizione del Capannone ex Montecatini, ma successivamente del terminal di Costa Morena dove i naufraghi della Norman Atlantic hanno potuto ricevere assistenza sanitaria ed hanno potuto sentire l’afflato dell’intera città che si è stretta intorno a loro e ai loro familiari, in un momento particolarmente tragico della loro esistenza. Poi il relitto con 62 ore di navigazione fu rimorchiato nel porto di Bari. Nel processo l’A.P. si era costituita ‘parte civile’ per salvaguardare l’immagine del porto e della città di Bari.

Abele Carruezzo

(Foto archivio Il Nautilus)