A proposito del Piano regolatore del Porto di Brindisi

Riceviamo e pubblichiamo, dall’ing. Roberto Serafino, una nota tenica ed alcune considerazioni sugli strumenti urbanistici di un porto, ripercorrendo nello specifico quelli relativi al porto di Brindisi. L’ing. Serafino è esperto del settore portuale, già docente universitario e membro del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.

È storicamente accertato che le sorti della città di Brindisi sono strettamente collegate al suo porto, che però sembra essere una realtà sconosciuta alla maggioranza dei cittadini.
Spero che quanto di seguito scritto serva da stimolo per approfondire e diffondere una più ampia conoscenza del porto.
Prima di entrare nel caso “Brindisi”, ritengo necessario premettere sinteticamente alcune informazioni di massima, che sono utili per comprendere quanto scritto dopo la premessa.

PREMESSA

Ogni porto ha caratteristiche uniche; essendo tutti i porti ritenuti di primaria importanza strategica, sono stati sempre, e lo sono tuttora, gestiti direttamente dallo Stato, che si avvale in particolare del proprio massimo organo tecnico che è il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (C.S.L.P.), istituito nel 1859.

Organi periferici del C.S.L.P. sono i Provveditorati (prima regionali, ora interregionali) alle Opere Pubbliche (a suo tempo, per i porti, Genio Civile Opere Marittime).
È ovvio che i porti, nel tempo, si sono dovuti adattare, per quanto possibile, alla evoluzione delle navi e della tipologia di merci e passeggeri trasportata.

Gli strumenti di programmazione utilizzati sin dal 1860 sono stati il Piano regolatore e la variante. In particolare, la variante, fino all’entrata in vigore della L. 84/1994, in genere era costituita da importanti cambiamenti della configurazione del porto, e/o di nuove infrastrutture, e/o di cambiamenti di destinazione d’uso di parti consistenti dello stesso porto. In definitiva, con l’adozione di una variante, di fatto, entrava in vigore un nuovo piano regolatore.

Si sottolinea che nessuna opera può essere realizzata se non è esplicitamente e precisamente prevista dal piano regolatore in vigore.
Piano regolatore (e varianti), fino quasi al 1970, divenivano ufficiali solo quando il C.S.L.P. esprimeva il suo parere favorevole; successivamente, fino al 1984 entravano in vigore quando il parere favorevole del C.S.L.P. veniva adottato con apposito decreto dal Ministero dei Lavori Pubblici.

Con la L 84/1994, tutti piani regolatori sono rimasti invariati così come erano al momento della pubblicazione della predetta legge.
La procedura instaurata con la L 84/1994 prevede che dopo l’approvazione in Comitato Portuale, e prima di passare all’esame del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (C.S.L.P.), la proposta di piano regolatore (o di variante) formulata dall’Autorità Portuale (istituita il 01/01/1995; oggi Autorità di Sistema Portuale) deve essere approvata dal Consiglio Comunale (“previa intesa”; art. 5 comma 3 L. 84/1994).
Giunto al C.S.L.P., il Presidente istituisce un’apposita commissione (in genere non meno di 15 esperti) che esamina attentamente e scrupolosamente la proposta al fine di produrre il miglior risultato possibile nell’interesse dello Stato e della comunità in cui è ubicato il porto.

La commissione comunica in ogni successiva adunata di sezione o assemblea generale (a seconda dei casi), la progressione dei lavori, che portano a integrazioni, correzioni, prescrizioni, etc., fino al voto finale (parere favorevole o respingimento).
Dopo aver ottenuto il parere favorevole dal C.S.L.P., la proposta passa al Ministero dell’Ambiente per la V.A.S., ed infine alla Regione, che lo approva definitivamente; il Nuovo Piano Regolatore entra in vigore contestualmente alla pubblicazione sul Bollettino Regionale.
Con la L. 84/1994:

• Occorrono non meno di 4 anni prima che la proposta di piano regolatore (o di variante) ottenga il parere favorevole dal C.S.L.P.;

• L’elaborato approvato è sempre notevolmente diverso da quello arrivato in C.S.L.P.

Poiché sia la tipologia di traffici marittimi (merci e passeggeri) che di navi è in continua evoluzione, quasi tutti i porti italiani hanno cercato di adeguarsi il più rapidamente possibile alle nuove esigenze; Brindisi è uno dei pochissimi porti dove non si è ancora adeguatamente messa mano al nuovo piano regolatore.

STORIA DEL PIANO REGOLATORE DEL PORTO DI BRINDISI

Il Piano Regolatore del Porto di Brindisi è entrato in vigore il 17 settembre 1907, con il voto favorevole n. 1092 del C.S.L.P.; successivamente vi sono state solo varianti, descritte meglio di seguito.
Antecedentemente alla “prima variante – 1963”, la Marina Militare aveva provveduto alla costruzione della diga di “Bocche di Puglia”, della diga “Trapanelli” (tra Capo Bianco e l’Isola Grande delle Pedagne), della diga antistante il Castello Alfonsino (lunga circa 240 mt) e, di fronte, della diga antistante Costa Morena (lunga circa 612 mt – vedasi pianta allegata).

Inoltre la “Montecatini” aveva costruito un molo canale, radicato alla costa di Fiume Grande lungo circa 380 mt, con un martello di circa 160 mt (opere approvate con voto n. 2735 del 19/10/1960 della Commissione piani regolatori dei porti, e voto n. 2414 del 15/12/1960 del C.S.L.P.) ed un prolungamento di 200 mt (opera approvata con voto n. 1207 del 22/6/1962 del C.S.L.P.).

Con la prima variante, redatta dal Genio Civile Opere Marittime, entrata in vigore con il voto n. 2310 del 19 dicembre 1963 del C.S.L.P., venne realizzato il banchinamento a ridosso della diga di Costa Morena per un tratto di 500 mt, largo 50 mt, e il banchinamento della riva contigua per circa 110 mt.

Il Genio Civile Opere Marittime, con il prot. N. 20685 del 25 novembre 1972 presentò al C.S.L.P. una proposta di Variante, che in realtà era un prototipo di un eccellente “Nuovo Piano Regolatore”, che prevedeva diverse opere, con un costo complessivo stimato di 73 miliardi di £, tra cui:

• diga di Punta Riso, lunga circa 3960 mt, con la conformazione mutata con la successiva variante (vedasi riproduzione allegata);

• molo lungo circa 1830 mt, direzione sud – nord, con inizio a circa 500 mt a sud-est di Capo Bianco; altro molo, parallelo al precedente, lungo circa 820 mt;

• allargamento del molo di Costa Morena con due nuovi sporgenti nel porto esterno e uno sul lato porto medio;

• una nuova stazione marittima all’estremità del seno di Levante;

• un tunnel sottomarino per il collegamento delle zone portuali separate dal Canale Pigonati.

• vari dragaggi.

L’Assemblea Generale del C.S.L.P., nell’adunanza del 16 febbraio 1973, con il voto 1082, esprimeva parere favorevole alla predetta proposta, ma con alcune prescrizioni per quanto riguardava le opere previste nel porto interno e medio, una richiesta di approfondimento per le opere previste nel porto esterno, e diverse variazioni.

Per una serie di interventi, quello che sarebbe stato un eccellente “Piano Regolatore” venne, di fatto, menomato. L’Assemblea Generale del C.S.L.P., nell’adunanza del 15 novembre 1974, con il voto 684, esprimeva parere favorevole alla predetta proposta di variante, modificata come richiesto, e con diverse interventi, tra cui, in particolare:

• la nuova conformazione (in pratica quella attuale) della diga di Punta Riso, che avrebbe avuto una lunghezza complessiva di 2.235 mt (anziché 3.960);

• un nuovo molo lungo circa 250 mt, con inizio sull’isola dove è situato il faro delle Pedagne, parallelo all’ultimo tratto della nuova diga di Punta Riso;

• veniva eliminato lo sporgente di Levante di Costa Morena e sostituito con un pontile;

• lo spostamento dei serbatoi per combustibili liquidi dal Seno di Levante a Capo Bianco;

• tre nuovi varchi nella diga di Bocche di Puglia;

• veniva sollecitato un accurato studio della rete stradale a ferroviaria a servizio del porto e dell’area industriale.

• Peraltro, su precisa richiesta del Comune di Brindisi e del Consorzio del Porto, veniva eliminato il tunnel sottomarino sotto il Canale Pigonati.

È da sottolineare che veniva evidenziato che il traffico passeggeri era riservato esclusivamente nel porto interno, ed interdetto tassativamente nel porto medio, riservato al traffico commerciale (anche navi ro-ro, ma solo se esclusivamente commerciali). Con le nuove indicazioni, il costo complessivo delle opere sarebbe sceso a 57 miliardi di £.

Il ministero dei Lavori Pubblici adottò il predetto voto del C.S.L.P. di approvazione della variante con il D. M. n. 375 del 21 ottobre 1975: con il decreto, tale variante, di fatto, fu adottata come Nuovo Piano Regolatore, ed è tuttora in vigore, appena modificata dalla variante presentata dall’Autorità Portuale nel 2002 ed approvata dal C.S.L.P. nel 2006, secondo la procedura introdotta dalla L. 84/1994 (i nuovi accosti di S. Apollinare).

L’esigenza di un Nuovo Piano Regolatore emerse chiaramente alla fine degli anni 90, considerando che nel 1996 vi erano stati oltre 1 milione di passeggeri in transito, con giorni di punta in cui vi erano stati arrivi e partenze di 33 navi.
L’ing. Riotta, che era stato direttore dei lavori per la realizzazione della diga di punta Riso, all’inizio del 2000, donò all’Autorità Portuale di Brindisi una Proposta di Nuovo Piano Regolatore, che era un’ottima base di partenza: quella proposta è rimasta però abbandonata in un cassetto dell’Autorità Portuale.

IL NUOVO PIANO REGOLATORE DEL PORTO DI BRINDISI

Perché è indispensabile il Nuovo Piano Regolatore

Con i trend attuali, in base alle migliori previsioni, basate su studi seri ed accurati, si stima che nel 2050 gli abitanti di Brindisi saranno circa 18.000: questo significa che Brindisi ed il suo porto stanno andando in rovina.

Brindisi ha tante grandi potenzialità, che non si sono mai concretizzate, per la vicinanza fisica di tutte le modalità di trasporto, la disponibilità di ampie aree limitrofe utilizzabili per la cosiddetta “logistica”, e di tutti i servizi necessari (energia elettrica, acqua, banda larga, università, manodopera qualificata, etc.): ossia potrebbe essere un grande interporto, ma non lo è per diversi motivi, tra cui, in particolare, la mancanza di collegamenti che consentano rapido ed agevole transito di passeggeri e merci tra le diverse modalità di trasporto.

Appare evidente che vi è un solo modo per invertire la predetta “tendenza alla rovina” indicata dagli esperti: con lo sforzo di tutti, si deve investire decisamente sulla “logistica”, ossia reimpostare il porto come fulcro di un grande nodo logistico (interporto), con caratteristiche uniche a livello mondiale, che valorizzerebbe le risorse locali (in particolare agricoltura e turismo), anche con nuove tipologie di lavori, perfettamente ecocompatibili.

Appare scontato che l’istituzione di un interporto (funzionale e funzionante) a Brindisi, influirebbe in maniera decisiva sull’economia dell’intero Mezzogiorno.

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Prima di indicare quale è la via obbligata per raggiungere tale obiettivo, è opportuno ricordare alcune “occasioni perse”.
Nel gennaio 96, su incarico della C.S.S.T., (società del Gruppo FIAT), presieduta dal Prof. Rocco Giordano, presso la sede di Napoli, scrissi totalmente ex novo i piani finanziari degli Interporti di Catania, Pontecagnano (SA) e di Brindisi.

I tre progetti vennero ammessi ai contributi previsti dalla L. 240/90; il Ministero adottò il modello di piano finanziario redatto da me come riferimento per confrontare tutte le domande presentate. Brindisi era quello su cui la C.S.S.T. confidava maggiormente; considerando enormi le potenzialità (e non si erano considerati i potenziali sviluppi dell’e-commerce), il gruppo di tecnici aveva definito un apposito progetto quasi esecutivo.

Per Brindisi, l’investimento complessivo era di circa 120 miliardi di lire; avevo considerato un arco temporale di 10 anni, di cui i primi 4 necessari per completare la realizzazione del progetto, che comunque era ragionevole ritenere che avrebbe prodotto utili già dopo il primo anno. Per coprire l’intero investimento erano previsti i 20 miliardi circa concessi dalla L. 240/90, 50 miliardi circa dalla specifica misura del POR Puglia 1994-99, la restante parte con autofinanziamento (anche se la FIAT era disponibile a coprire l’intera somma, e vi erano già altri soggetti interessati all’investimento).

L’interesse era dovuto al fatto che Brindisi aveva (ed ha) le caratteristiche uniche a livello mondiale prima descritte (non a caso è la base operativa ONU per gli aiuti umanitari); insomma, avrebbe potuto essere, per diverse ragioni, al centro dei flussi di traffico di merci e passeggeri tra Centro – Nord Europa e Balcani e Medio Oriente.

Purtroppo in quel periodo i politici di maggior rilievo, per ragioni campanilistiche, imposero lo stravolgimento del progetto, inventandosi una nuova entità, il cosiddetto interporto a rete, che avrebbe dovuto essere incentrato su Francavilla Fontana, che si trova a metà strada tra Taranto e Brindisi e rispettivi porto e aeroporto, con collegamento ferroviario diretto con Surbo; ma Francavilla Fontana poteva essere solo un intermodale (con l’esito successivo a tutti noto), mentre un interporto è tale se almeno tre tipologie di trasporto sono fisicamente vicine; inoltre Francavilla è di fatto al di fuori delle linee di flusso dei traffici sopra indicate.

Infine nel costituire lo IAIS (Interporto dell’Area Ionico Salentina) S.p.A., società appositamente creata, furono poste ai vertici figure non adeguate, con il risultato che tutte le risorse previste dalla specifica misura del POR Puglia 1994-99 (circa 100 miliardi), con la gioia dei baresi, ed il consenso dei leccesi, vennero dirottate su Bari Lamasinata (che in realtà è un intermodale), che è lontano sia dal porto che dall’aeroporto di Bari, fuori delle linee di flusso dei traffici, e che inevitabilmente si avvia al fallimento.

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Per istituire di fatto l’interporto (che se funzionale e funzionante sarebbe un’importantissima base logistica)

servono innanzitutto:

1. Il nuovo piano regolatore del porto di Brindisi (da impostare in particolare come fulcro dell’interporto);

2. Il PUG del Comune, che dovrà acquisire come fondamenta il nuovo piano regolatore del porto (in particolare i collegamenti diretti tra tutte le modalità di trasporto e con il terminal delle Autostrade del Mare).

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Il Nuovo Piano Regolatore del porto

è innanzitutto necessario staccare il porto di Brindisi dall’ADSP del Mar Adriatico Meridionale, costituendo l’ADSP del Salento (porti di Brindisi, Otranto e Gallipoli), altrimenti il porto di Brindisi rimarrebbe invischiato nella gestione degli altri porti pugliesi dell’Adriatico, che comporta gestione e scelte nettamente diverse da quelle necessarie per Brindisi.

Senza ordine di priorità, riporto alcuni dei punti importanti del nuovo piano regolatore.

a) È necessario avere idee chiare sui propositi della Marina Militare sul Castello Aragonese, ossia se intende cederlo al Comune – come da questo fortemente auspicato – trasferendosi in un nuovo sito, la colmata che era destinata al rigasificatore, previa costruzione degli immobili e delle infrastrutture necessari;

b) Destinare l’isola di Sant’Andrea ed il castello Alfonsino (ora zona bianca, ossia senza destinazione d’uso) ad attività turistica ricettiva e produttiva;

c) Il porto interno da destinare esclusivamente a piccole navi passeggeri e nautica da diporto (salvo la zona attualmente utilizzata per lo scarico di prodotti agricoli sfusi e base per i pescherecci);

d) Scarico del gpl da spostare nel porto esterno;

e) Banchine sud del porto medio destinate, oltre a traffico commerciale (merci e container), anche a traffico passeggeri;

f) Porto esterno destinato, oltre che a prodotti petroliferi ed industriali, anche a traffici commerciali e container;

g) Prevedere le strutture necessarie per trasformare il porto in un “green port”.

h) Nuovo terminal Autostrade del Mare da situare nei pressi di Punta Cavallo, con nuova diga da Punta Cavallo (con tre funzioni: costruzione del Terminal delle Autostrade del Mare a ridosso di Punta Cavallo, protezione della nuova base della Marina Militare e rimedio al depauperamento della sabbia lungo la costa a sud di Punta Cavallo, causato dalla conformazione della diga di Punta Riso); il Pug dovrebbe prevedere i collegamenti stradali e ferroviari col terminal e le nuove infrastrutture;

i) Individuare la posizione ottimale dove costruire il terminal al servizio dell’intero porto, infrastruttura prevista nel piano regolatore in vigore e non realizzata poiché il luogo in cui doveva sorgere è sottoposto a vincolo archeologico.

a) Spostamento della sede della Marina Militare a Capo Bianco.

L’attento esame delle circostanze attuali e delle prospettive future mostra chiaramente che sarebbe di primario interesse sia della Marina Militare, sia del Comune, spostare prima possibile la base nella zona della colmata di Capo Bianco.

Considerando l’ammodernamento della flotta militare, potrebbe infatti essere costruita in tempi relativamente brevi una nuova base con le più moderne tecnologie (non facili da installare in quella attuale e con costi verosimilmente maggiori di quelli necessari nel caso di realizzazione di una nuova base), in grado di far attraccare le nuove navi, sia quelle in fase di costruzione, che quelle in fase di progettazione iniziale. Nella situazione attuale, infatti, appare di non semplice soluzione il problema dell’attracco delle nuove navi, soluzione che presenterà costi presumibilmente molto elevati e tempi non brevi.

Inoltre, se come si intuisce, l’intenzione della Marina Militare è utilizzare Brindisi soprattutto come base per le missioni umanitarie, la nuova base sarebbe estremamente conveniente dal punto di vista logistico, con disponibilità di ampi spazi agevolmente raggiungibili con ogni mezzo di trasporto, situazione opposta a quella che si verificherebbe mantenendo l’attuale situazione.

In definitiva, per la Marina Militare, i vantaggi dai punti di vista operativo, logistico, per il personale, etc. sarebbero enormi.
Altrettanto enormi sarebbero i vantaggi del Comune nel riprendere possesso delle aree attualmente occupate dalla Marina.

L’utilizzo del Catello Svevo per molteplici attività, del lungomare, degli amplissimi spazi per parcheggi, delle altre costruzioni presenti nell’area (dagli edifici ai capannoni), darebbero una vita completamente nuova alla città, con grandi vantaggi per l’intera comunità.

Da quanto su scritto, emergono due considerazioni:

1. Risulta palese che lo spostamento della base è il primario interesse, sia della Marina Militare che della comunità brindisina;

2. cogliendo le circostanze temporali (che potrebbero anche non ripresentarsi) e tenendo conto delle prospettive future, nel caso si raggiunga l’accordo, l’auspicabile spostamento della base della Marina Militare dovrà essere necessariamente previsto nel nuovo piano regolatore portuale. Tale scelta condizionerà in ogni caso notevolmente il PUG in fase di elaborazione.

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b) Destinare l’isola di Sant’Andrea ed il castello Alfonsino ad attività turistica ricettiva e produttiva.