I terminal creano tempi lunghi dell’ancoraggio

BARCELLONA – Sul fronte dello shipping container, con l’avvento di nuove navi a forte capacità di stiva, stiamo assistendo ad una particolare concentrazione di traffico solo ed esclusivamente in alcuni porti lungo le rotte predeterminate ed associate a consorzi di compagnie servite da terminal dedicati.

Pare che questa doveva e deve essere, per gli analisti di questo segmento di mercato, la risoluzione più efficace per garantire il cosiddetto “just in time” del container su quella banchina di quel porto e consegnato nell’ora stabilita di quel giorno stabilito. Una lunghissima nave, vale la pena notare, a volte occupa posto/banchina per due, escludendo altre navi da quei servizi e causando problemi per il terminal; inoltre, i porti non possono costruire o dotarsi di moduli infrastrutturali per una lunghezza supplementare di banchina in così breve tempo e quando occorre.

Molte volte abbiamo sentito affermare da parte di alcune compagnie di navigazione che la congestione del porto influisce negativamente sui bilanci finanziari della società e per questo si sono sviluppati terminal dedicati in porti lungo quel determinato liner container. Ma quello che sta succedendo nei porti meridionali della California, e non solo, con un super affollamento di navi all’ancora in attesa del proprio turno per poter attraccare, pone in discussione tutto il paradigma sulla produttività dei porti e dei terminal in rapporto all’aumento delle capacità di trasporto delle nuove navi porta-container, comprese le nuove esigenze navigazionali.

Teoria e pratica a volte si manifestano con divergenze difficilmente sanabili. Anche perché i porti, come i centri di servizi commerciali e/o sanitari, non sono sufficientemente flessibili per far fronte a improvvisi aumenti della domanda per garantire i relativi servizi. Così i porti hanno una certa difficoltà a gestire aumenti di carico di lavoro dovuto ad un aumento di numero di navi che attraccano, o navi con più carico da manipolare.

Molte realtà portuali, non solo americane ma anche europee, hanno dovuto adattare la loro capacità produttiva per fronteggiare il rapido calo di lavoro dovuto all’ultima recessione impiegando degli anni; ora che  c’e la lenta risalita verso la ripresa economica, gli stessi porti non stanno avendo la possibilità per affrontarla. E quando le economie che gestiscono i flussi commerciali, come la Cina, decidono improvvisamente di far aumentare la domanda di servizi portuali, i porti si trovano impreparati per essere efficienti/efficaci in tempi brevi.

Così, si stanno verificando molti ancoraggi affollati in attesa di entrare nei porti e a volte si cade in “stallie e contro-stallie” in attesa che si liberi la banchina per le operazioni di carico/scarico. Come dire che il problema antico, congestione del porto, ritorna e si sta trasformando in congestione del terminal. Tutte le compagnie di navigazione di navi da carico e/o passeggeri vogliono scalare gli stessi porti e negli stessi terminal.

Molte regioni marittime del Mediterraneo, come nel basso Adriatico e Ionio, i porti si presentano con una capacità flessibile più operativa e disponibile, favorendo le compagnie di navigazione a scegliere un terminal invece di un altro affollato, viste le distanze fra porti accettabili economicamente. Sarà questa la svolta? Essere in rete non significa creare nodi causando lunghe soste per un container dimenticato dalla burocrazia su di un piazzale portuale. I porti che hanno una flessibilità naturale nella loro capacità produttiva dovranno essere preparati a queste nuove esigenze.

 

Abele Carruezzo