Tirrenia: incagliata, quindi esodata

Il caso della “Tirrenia” lo avevamo scritto che presentava delle complessità, non solo nazionali, ma anche europee. Sicuramente, la vicenda impegnerà ancora la stampa e la firma sulla privatizzazione non sappiamo se avverrà il 5 luglio prossimo, come annunciato. Prima di tutto vi è un problema che la Compagnia Italiane di Navigazione (Cin) non intende pagare 500 milioni di euro: cioè, l’Antitrust europea ha imposto ai nuovi (Cin) tale pagamento come risarcitorio di contributi pubblici beneficiati da Tirrenia per gli anni 2008 e 2011, allora società pubblica.

Oggi, gli azionisti Cin (40% Moby, 30% Clessidra, 20% Gip, 10% Izzo) non intendono pagare, e proprio ieri, l’ad Ettore Morace ha detto: “Andiamo avanti (per la firma del passaggio) solo se abbiamo la certezza che questi soldi chiesti dall’Europa non li dobbiamo pagare noi” – e comunque sull’entità della cifra, ha ribadito Morace –  “nessuno sa realmente a quanto ammonta, perché bisogna ancora fare una valutazione se ci sono stati, e per che parte sarebbero indebiti, i contributi di Stato a Tirrenia. Noi abbiamo chiesto ancora una settimana, poi se la cifra – qualunque cifra – dovesse essere a nostro carico, ci ritireremo”.

Parole dure che mettono in guardia il Ministero per lo Sviluppo Economico a dipanare la matassa a livello europeo, anche perché le banche che sostengono il piano Cin (Unicredit ed Intesa) difficilmente potrebbero far fronte a queste nuove “garanzie”. Infatti, per il progetto “Tirrenia” si è pattuito un costo di 380 milioni di euro, di cui sarà versata una prima tranche da 200 milioni, a fronte di contributi pubblici di 72,6 milioni di euro fino al 2020. La vicenda di Tirrenia parte da lontano.

Era l’anno 2001 quando ebbe inizio la proposta di privatizzare la Tirrenia; nel 2006 vi fu una proposta alternativa di Confitarma; mentre il governo Berlusconi nel 2008 imposta i primi approcci del processo di privatizzazione: passaggio delle compagnie regionali, cioè le società Tirrenia che collegavano le isole minori, dal gruppo di Stato alle Regioni di competenza. La geografia societaria odierna è la seguente: Toremar (Toscana) l’unica privata, passata a Moby; Caremar (Campania) attende ancora la gara; la privatizzazione di Siremar (Sicilia) è stata annullata pochi giorni fa dal Tar, mentre la Regione Sardegna non vuole privatizzare la Saremar.

Anche la Regione Lazio non sta a guardare e crea una nuova società, la Laziomar, una pubblica regionale che vanta garanzie e sostegno statale per garantire continuità territoriale che prima non conosceva. Passano gli anni, ed arriviamo al 2011 con la proposta di Cin e Tirrenia cade sotto i riflettori dell’Antitrust sia italiana che europea. Intanto Bruxelles non torna indietro sui contributi pubblici, i privati non vogliono pagare questi debiti ed il Governo italiano non li può pagare. Forse si vuole incagliare questa operazione?

I Lavoratori marittimi e non di Tirrenia che fanno? Gli esodiamo tutti a mare? (allibo costruttivo) O dovranno aspettare l’alta marea per risolvere il problema dell’incaglio di questa antica e famosa società italiana di navigazione, ormai non più in navigazione?

 

Abele Carruezzo