La mancanza di infrastrutture portuali rende difficile la cattura di CO2 a bordo delle navi

Eastern Pacific Shipping

(Foto courtesy Eastern Pacific Shipping)

La petroliera Pacific Cobalt di EPS è stata una delle prime navi dotate di un sistema di cattura del carbonio, ma i porti non sono pronti a gestire l’LCO2 delle navi. Non va meglio per l’Europa e per l’Italia

Singapore. Un nuovo studio che esamina la capacità funzionale dei porti e le sfide della gestione della CO2 catturata dalle navi in mare rileva che pochi porti sono pronti a gestire la CO2 liquefatta proveniente dalle navi e che mancano i preparativi in settori chiave come le infrastrutture e la formazione sulla sicurezza.

Il rapporto conclude che la scarsa capacità funzionale dei porti è un ostacolo importante che limita l’adozione della cattura e dello stoccaggio del carbonio a bordo come soluzione pratica di decarbonizzazione.

La cattura del carbonio dalle navi in navigazione è stata vista come una possibile tecnologia, soprattutto a breve termine, per prolungare la vita delle navi in servizio, facendo progressi verso gli obiettivi globali di riduzione delle emissioni di carbonio.

Diverse aziende stanno procedendo con lo sviluppo della tecnologia di bordo con risultati promettenti. Tuttavia, il rapporto commissionato dal Global Centre for Maritime Decarbonization (GCMD) di Singapore in collaborazione con Lloyd’s Register e ARUP, rileva la necessità di definire un percorso chiaro per scaricare, utilizzare e/o immagazzinare CO2. Scrivono che questi problemi critici devono essere risolti per la commercializzazione su larga scala della cattura e dello stoccaggio del carbonio a bordo.

“Mentre si rileva con successo di numerose tecnologie di cattura a bordo delle navi, rimane ancora incerto come il carbonio catturato sulle navi mercantili possa essere scaricato in sicurezza e come sia il resto della catena del valore”, ha affermato il professor Lynn Loo, CEO di GCMD.

“Questo studio fa luce su queste sfide ed evidenzia le raccomandazioni per affrontare in modo olistico queste preoccupazioni per le parti interessate a far progredire i concetti di scarico OCCS/LCO2”. (Onboard Carbon Capture and Storage/Liquid CO2)

Con l’obiettivo di colmare le lacune nella catena del valore della cattura del carbonio a bordo, lo studio ha rilevato che un numero limitato di porti possiede l’infrastruttura per scaricare la CO2 liquefatta, che è la soluzione più promettente per la cattura e lo stoccaggio a bordo delle navi.
Scrivono che pochi porti hanno capacità di CO2 e quelli che ce l’hanno sono progettati principalmente per gestire la CO2 per uso alimentare, notando che le differenze negli standard di purezza limitano l’interoperabilità di questi sistemi con la CO2 di bordo.

Lo studio ha esaminato 162 possibili scenari per la gestione dell’LCO2, valutando le opzioni per lo scarico dell’infrastruttura e le sfide di movimentazione sicura. Si sono concentrati su quattro configurazioni concettuali, scrivendo che i trasferimenti da nave a nave o da nave a terra, utilizzando una nave ricevente LCO2 intermedia, sono gli approcci più promettenti per lo scarico su larga scala. Hanno concluso che il trasferimento da nave a terminal è più compatibile su scale più piccole.

Sottolineano le sfide legate alla definizione dell’uso finale, che si tratti di un eventuale cattura o dell’uso come materia prima per la produzione di combustibili sintetici. Osservano inoltre che l’LCO2 presenta una serie unica di sfide per la sicurezza che non si incontrano comunemente quando si maneggiano i carburanti nel trasporto marittimo. Il rapporto identifica i problemi di sicurezza come l’asfissia e la tossicità e ha condotto studi di sicurezza per identificare e gestire i rischi.

Indicano sfide uniche come i pericoli quando la CO2 si avvicina al suo punto triplo in cui coesistono fasi gassose, liquide e solide. Oltre ad essere sensibili alle impurità, notano che piccoli cambiamenti di temperatura e pressione possono portare a situazioni pericolose, come l’ostruzione dei tubi e l’accumulo di pressione.
Hanno concluso che, affinché i sistemi di cattura del carbonio a bordo siano fattibili dal punto di vista operativo, l’industria deve sviluppare un ecosistema collaborativo per consentire alla catena del valore di gestire la CO2 catturata.

L’Italia punta ad aumentare sempre di più la propria attività nel campo della cattura e dello stoccaggio della CO2 (CCS) e al momento uno tra i progetti più interessanti è il Callisto: si tratta di un’iniziativa portata avanti da Eni, Snam e Air Liquide, il cui avvio è previsto a Ravenna in questo 2024. Il progetto è stato incluso nei Progetti di Interesse Comune dell’UE e a regime si prevede di stoccare un massimo di 16 milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni anno e 500 milioni di tonnellate all’anno entro il 2030.

A parte Eni, non ci sono aziende o startup italiane attratte dalla cattura della CO2, anche se l’argomento continua ad essere esplorato da gruppi di ricerca universitari. Alla Federico II di Napoli, si sperimenta come intrappolare la CO2 nei letti fluidizzati (solidi che in particolari condizioni si comportano da fluidi). A Bologna si studiano particolari membrane capaci di lasciar passare molecole di piccole dimensioni, come quelle dell’acqua, e di trattenere la CO2. Mentre all’Università di Padova lavorano sulla logistica e il trasporto della CO2 concentrata e liquida, perché una volta catturata deve poter esser portata a destinazione.

Abele Carruezzo