Porti italiani: il Governo verso il federalismo portuale?

Roma. Sono molte le difficoltà che incontrano quando si vuole elaborare un organico disegno di riforma della ‘portualità italiana’. La disciplina dell’ordinamento e delle attività portuali è particolarmente complessa e articolata in quanto espressione di esigenze contrapposte di accentramento e di decentramento

Con la legge 84/94, vi è stata già una differenziazione tra i porti secondo le loro dimensioni, tipologie e funzioni, con la conseguente ripartizione delle funzioni tra Stato e Regioni. Allo Stato sono attribuite quelle relative alle opere dei porti finalizzati alla difesa militare e alla sicurezza nazionale e dei porti di rilevanza economica internazionale, oltre che alle opere di preminente interesse nazionale per la sicurezza dello Stato, la sicurezza della navigazione e la difesa delle coste. Alle Regioni sono assegnate quelle che riguardano le opere degli altri porti, con esclusione delle opere qualificate di ‘grande infrastrutturazione’ concernenti i porti di rilevanza economica nazionale (canali marittimi, dighe foranee, darsene, bacini attrezzati, escavazione fondali).

Ora si punta a una differenziazione finanziaria e verso un federalismo portuale.
Nel 2001, con la riforma del titolo V della Costituzione, la materia dei porti è ricondotta nella potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni. Ciò significa che la disciplina dei porti diventa di competenza regionale, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione statale.

Il disegno di legge sull’autonomia differenziata messo a punto dal Ministro leghista per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, e approvato dal Consiglio dei Ministri, sicuramente porta ad un nuovo progetto di federalismo portuale.
Molte Regioni, tra cui la Puglia, si stanno opponendo a tale disegno di legge. Il presidente Emiliano, poi, ha usato la metafora del canottaggio per spiegare quello che, a suo dire, è il piano del Ministro Calderoli: “La teoria Calderoli è: abbiamo 20 vogatori, per far diventare più forti i vogatori meno efficienti diamo remi più lunghi a quelli più forti. Questa teoria non regge”.
Come sempre, s’incontrano resistenze ai cambiamenti generati da una qualsiasi riforma e, nel caso dei porti italiani, dislocati lungo l’Italia nel Mediterraneo, diversi e diversamente funzionali, le resistenze saranno più marcate.

Le Regioni del Sud affermano che si vuole smantellare la ‘riforma Delrio’, mai del tutto attuata, affermando una nuova concezione del sistema portuale italiano trasformando i porti da enti pubblici non economici, cioè amministrati dallo Stato, a società per azioni a controllo pubblico con la partecipazione degli enti locali. Sostanzialmente, se le parole hanno un significato, si propone di passare da un’amministrazione statale al solo controllo pubblico.

Nei porti sappiamo che coesistono un’anima pubblica e un’anima commerciale: sono sedi di attività imprenditoriali, di terra, di banchine, di terminal, di navi, di trasporto di qualsiasi merce; nello stesso tempo, vi un forte interesse pubblico per l’importanza strategica geo-economica dei porti stessi, nodi fondamentali del processo dei trasporti marittimi, capaci di generare forti ricadute per lo sviluppo del territorio. Poi, altre attività che si svolgono nei porti sono considerate ‘servizio pubblico’ o di ‘pubblico interesse’.
In molti porti, oltre a normative particolari, situazioni di antichi interessi che generano diritti esclusivi, s’innescano intrecci tra pubblico e privato che trovano nei porti il loro campo di azione e che cercano da sempre di difendere l’esistente opponendosi a qualsiasi evoluzione tecnologica e soprattutto normativa. Si pensi al gigantismo navale, alle catene di una logistica integrata, a una transizione energetica ed ecologica, alla digitalizzazione e soprattutto alle infrastrutture portuali che si realizzano con un forte ritardo e una retroportualità ancora da definire.

Nel ddl del Governo, si legge che l’autonomia differenziata non è altro che il riconoscimento, da parte dello Stato, dell’attribuzione a una Regione a statuto ordinario di ‘autonomia legislativa’ sulle materie di competenza concorrente; in più, le Regioni possono anche trattenere il gettito fiscale, che non sarebbe più distribuito su base nazionale a seconda delle necessità collettive. Ancora vengono definite le materie legislazione concorrente: rapporti internazionali e con l’Unione Europea, il commercio con l’estero, la tutela e sicurezza del lavoro, l’istruzione, le professioni, la ricerca scientifica e tecnologica, la tutela della salute, l’alimentazione, l’ordinamento sportivo, la protezione civile, il governo del territorio, i porti e gli aeroporti civili, le grandi reti di trasporto e di navigazione, la comunicazione, l’energia, la previdenza complementare e integrativa, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, la cultura e l’ambiente, le casse di risparmio e gli enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

Lo aveva detto il Viceministro alle Infrastrutture e ai Trasporti, Edoardo Rixi, sia all’inaugurazione delle nuove linee delle Autostrade del Mare con la Grecia, a Brindisi, a bordo della ro-ro/pax Cruise Bonaria del Gruppo Grimaldi, sia all’incontro di Roma al convegno ‘I porti tra nuove identità e vecchi orizzonti’ per celebrare il ricordo di Francesco Nerli.

L’On. le Rixi a Brindisi aveva affermato: “Potenziare i porti del Sud Italia significa anche potenziare l’economia dei territori. Occorre utilizzare la portualità del Sud, insieme alla defiscalizzazione dell’attività di impresa, perché questa ci permette di ricreare una capacità manifatturiera nel Sud Italia che può affacciarsi anche verso i Paesi del Mediterraneo come il Nord Africa e soprattutto attivare le Zes come strumento per un’industria moderna”.

Mentre a Roma aveva detto: “trovare un sistema per cui la crescita di un sistema portuale lasci qualcosa sul territorio. Perchè se in un porto storico arrivano 6 navi da crociera avrò un problema con la popolazione. Se il traffico container di un porto passa da 4 a 7 milioni di Teu avrò un problema con la popolazione. Bisogna trovare un sistema per cui il porto porti anche una riqualificazione”.
Per il Viceministro Rixi ‘federalismo portuale’ vuol dire maggiore autonomia finanziaria dei sistemi portuali italiani e la proposta di trasformare le Autorità di Sistema Portuale in ipotetiche società per azioni ancora non trova corrispondenze nelle Regioni portuali del Mezzogiorno d’Italia, alle prese con un Mediterraneo con forti cambiamenti geo-politici.

Pensiamo che occorra evitare il rischio che una ‘funzione pubblica’ passi in secondo piano rispetto agli interessi di privati; che una riforma del sistema portuale italiano dovrà poggiare su un’analisi svolta su due piani, la situazione europea e quella nazionale, ricercando soluzioni a livello nazionale che siano coerenti con le linee evolutive che emergono a livello europeo; chiarire anche cosa significhi in particolare ‘controllo pubblico e partecipazione degli enti locali’. A livello europeo, pensiamo che la politica portuale europea non debba contrastare gli obiettivi organizzativi e funzionali perseguiti dagli Stati membri.

Abele Carruezzo