Pirateria: pagare il riscatto o trovare i pirati?

E’ facile dire che nessuno dovrebbe pagare riscatti per la liberazione di uomini. Mai e poi mai, qualunque sia l’uomo ed il “genere”. L’antico principio dei pirati risale a quasi mille anni addietro, quando i re inglesi pagavano i predoni vichinghi per evitare i loro attacchi; e questo fu denominato come principio Danegeld.

La Danegeld  tax, imposta danese, letteralmente “debito Dane”, era una tassa che si pagava come tributo ai vichinghi; si chiamava geld o gafol  già nel secolo XI, ed ammontava a circa due scellini per ogni cento ettari di raccolto agricolo: la “sicurezza” dei campi e del raccolto aveva un costo.

Ed allora, conviene pagare un costo ai pirati per garantirsi la sicurezza dei mari? Può sembrare comprensibile solo in teoria; ma la messa in pratica di tale principio è complesso, se si pensa che i pirati non sono solo “vichinghi”, e quindi non possono vantare nessuna proprietà e potere marittimo. I marittimi imbarcati su navi mercantili hanno firmato un contratto di lavoro, dove si legge che i datori di lavoro (armatori) sono anche responsabili, per legge, del loro benessere.

Quindi, gli armatori (coloro che armano una nave per una spedizione, secondo il C.N.), obbligati per legge a istituire tutte le procedure tecnico-strumentali  organizzative per garantire la “sicurezza” sul luogo di lavoro,  prevenendo anche atti di pirateria. E se alcuni armatori vorranno pagare la “Danegeld tax”, gli Stati della “bandiera” della nave dovranno impegnarsi di più rispetto al solo enunciare del “non pagare” riscatti.

Lo ricordiamo che l’impegno di uno Stato è importante, in quanto l’atto di pirateria è un “atto di guerra” asimmetrico verso uno Stato, in quanto quella nave, in quel momento ed in quelle coordinate dell’acqua internazionale, è territorio dello stato rappresentato dalla bandiera della nave. Ed allora, finche tutti i Governi non saranno preparati ad affrontare la situazione interna di quelle regioni marittime, gli armatori si troveranno costretti a fare tutto il possibile per recuperare equipaggi e navi sequestrate dai pirati.

Non basta il presidio di quelle rotte con navi militari, anche se è necessario per garantire l’approvvigionamento di materie prime con il trasporto marittimo; ma il problema va affrontato con una certa energia (se ci fosse reale volontà di affrontare alla radice le cause, che non sono marittime) per evitare l’allargamento del fenomeno in altre regioni marittime; come pure per evitare la trasformazione del fenomeno stesso che “pescatori” disperati emulano azioni piratesche.

 

Abele Carruezzo

Foto: Simone Rella