L’inquadramento giuridico delle concessioni portuali

Porto e demanio marittimo è binomio inscindibile non solo dal punto di vista giuridico ed amministrativo, in particolare, ma soprattutto, oggi più di ieri, dal punto di vista operativo, funzionale, strategico e programmatico per mantenerci nell’ambito della semplificazione. Ma inevitabilmente l’embrionale nozionistica classificazione mutuata dagli articoli del codice civile 822 ed 824 che, per quanto attiene proprio il demanio marittimo grazie all’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale, vedono comprendere le spiagge, il lido, la rada, il bacino d’acqua, le foci dei fiumi ed i porti.

Questi ultimi protagonisti indiscussi della demanialità marittima di un bene articolato e complesso, ovvero fonte impareggiabile di sviluppo economico. Ed è proprio su questa ultima lettura che i porti stanno subendo innumerevoli incursioni normative proprie del diritto interno anche recependo le attente direttive della comunità europea da qualche decennio osservatrice di quella parte, speciale, del diritto della navigazione come oggi vigente. Nel citare le ultime novità normative quali il decreto legislativo, sulla riforma dei porti, n.169 del 04.08.2016 ed il decreto legislativo n.232 del 13 dicembre 2017 entrato in vigore il 24 febbraio, recante disposizioni integrative e correttive al qui citato primo decreto, entrambi dettati (ai quali si avrà modo di dedicare ampie specifiche trattazioni in altra sede) al fine di conferire una maggiore forza propulsiva finalizzata alla migliore lettura sistematica della legge madre, la n.84 del 1994 secondo la lettura europeista del diritto interno, in questa sede non possiamo dal non ricordare cosa sia una concessione demaniale portuale:é un provvedimento amministrativo che riguarda l’uso di un bene demaniale che, sottratto all’uso comune in quanto indisponibile, è attribuito ad un soggetto privato detto concessionario, il quale ne acquista un diritto privato di godimento reale o personale in cambio del pagamento di un canone a tariffa.

Quindi lo stato si priva dell’uso del bene pubblico mantenendone la massima espressione dell’autarchia ovvero la proprietà. Nel caso in cui al concessionario si consenta di costruire sul bene dato in concessione esso costituisce diritto di superficie collegato, nella durata, alla stessa durata della sottostante concessione. Quindi forza giuridica alta nella tutela del fine pubblico del bene demaniale che resiste ad ogni “attacco” con istituto appartenenti alla famiglia dei diritti reali di godimento. Anche la necessità di stabilire sempre e comunque il termine di durata della efficacia del provvedimento concessorio, manifesta la barra a dritta che il legislatore vuole avere verso beni di pubblico uso od utilità provvisoriamente concessi a terzi nell’ambito di comprovate finalità e garanzie anche, ma non solo, imprenditoriali.

Ma appare da sottolineare come la procedura per poter essere aspiranti concessionari di beni demaniali, se pur oramai ben incanalata in sistemi nazionali omogenei ed a guida obbligata ( s.i.d. ), vedono nella procedura ad evidenza pubblica l’obbligato superamento del diritto di insistenza, del concessionario uscente, scardinato, vigorosamente, dalla direttiva Bolkestain ma anche da recenti sentenze del Consiglio di Stato e della Corte di Giustizia Europea che avversa la non corresponsione della libertà di concorrenza e di stabilimento.

Par condicio, uso modico ed eccezionale dell’istituto della proroga al posto della più esaustiva rinnovazione con il nuovo e squalificato modello di comparazione del possedere i requisiti soggettivi ai fini della auspicata concessione, fanno comprendere come un regime monopolistico sia stato scardinato, non del tutto, da un sistema di mercato volto alla concorrenza; ancora, e volendo immaginare le burrascosa dinamiche di alcuni grandi porti italiani gestiti dalle nuove AdSP quali la revoca, il sub ingresso, l’affidamento, la decadenza e la devoluzione delle opere inamovibili unitamente ai limiti imponibili alla proprietà privata entro 30 metri dal demanio medesimo, fanno comprendere come il legislatore italiano, sotto la spinta o meglio il rimorchio di quello europeo, stia costruendo un nuovo modus agendi applicativo e normativo su di una forma particolare della proprietà ovvero quella pubblica destinata, nei casi qui in sintesi esplicati, al funzionamento del porto e delle sue strutture come a pianificarsi sul piano del recente documento di pianificazione strategica di sistema (dpss) tutt’uno con i singoli piani regolatori portuali.

Volendo concludere, auspicabile ma si ritiene inevitabile ed obbligatoria, sarà una nuova e sistematica raccolta delle normative speciali (nella formulazione del testo unico o raccolta codicistica) afferenti il demanio marittimo appartenente e gestito dalle AdSP in quanto autorità competenti per il loro ambito circoscrizionale sia ex art.18 legge 84 del 94 che ex art.36 c della navigazione. AdSP che da domani, anzi da oggi, dovranno sviluppare una strategia del sistema portuale regionale, interregionale e nazionale, sistemi d’approdo di navi, merci e passeggeri integrati ed aperti sfruttandone e scrutandone virtù ed utilità ivi incluse marginali.

 

Teodoro Nigro