Ripartenza dell’Italia, per i porti e aeroporti ancora no

Roma. Il DL Semplificazioni ha bisogno ancora di “unanimità” politica da parte della maggioranza “giallo – rossa” che governa l’Italia in questa fase di emergenza economica-occupazionale dovuta al Covid-19. Si discute sul modello Genova per sbloccare i cantieri relativi a progetti di infrastrutture ritenuti strategici per la ripartenza della nostra penisola. Di logistica e di portualità si parla poco o per niente per non disturbare il “manovratore”; anzi si lascia ad altri enti di controllo a formulare le strategie portuali dell’Italia (vedasi caso Trieste e altre realtà portuali). E si va avanti con incontri di maggioranza per formulare una minima applicazione verso una sburocratizzazione degli iter amministrativi relativi a progetti su opere portuali.

Appena cinque anni fa (21 gennaio 2015), il Consiglio dei Ministri di allora approva il decreto di “Riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle autorità portuali”, presentato dal Ministro Madia, in collaborazione con il Ministro Delrio. Insieme ad altre misure il decreto puntava sulla competitività dei nostri porti e si sosteneva il ruolo dell’Italia come hub nel Mediterraneo e piattaforma logistica europea, visto che la nostra penisola veniva attraversata da quattro corridoi ferroviari Ten-T. Il tutto veniva sostenuto tramite una semplificazione delle procedure per facilitare il transito delle merci e passeggeri, la promozione dei centri decisionali strategici rispetto all’attività di porti in aree omogenee, la riorganizzazione amministrativa, il coordinamento centrale del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

L’introduzione dei sistemi portuali ha segnato una nuova riorganizzazione amministrativa della portualità italiana e alle sedi delle AdSP veniva ed è affidato un ruolo strategico d’indirizzo, programmazione e coordinamento del sistema dei porti della propria area. Ricordiamo che le AdSP hanno funzioni di attrazione degli investimenti (nazionali, europei e di privati) sui diversi scali e di raccordo delle amministrazioni pubbliche (non sempre è stato così). Solo in questo modo si potranno garantire le funzioni operative e dei servizi di uno scalo portuale di un Sistema. Allora il MIT mise in campo azioni forti (misure che attendono ancora una certa definizione) per la logistica e la portualità italiana, proprio per rafforzare i porti e affrontare le sfide globali; soprattutto incidendo nell’attrarre investimenti e presenze di grandi partner industriali (si guardava al Nord Europa, Nord Africa, Pireo, area Baltica e Far East).

Altre misure, enunciate e molte di queste ancora in corso, riguardano le semplificazioni sugli escavi e dragaggi nel Collegato ambientale; misure sui collegamenti del c.d. “ultimo miglio” all’interno dei contratti RFI sui collegamenti ferroviario-portuali; una moltitudine di progetti su infrastrutture portuali e si parlava di sblocco degli investimenti. Graziano Delrio, Ministro al MIT, ebbe a dire: “Perché l’Italia sia davvero il porto dell’Europa, abbiamo introdotto misure per la semplificazione e la competitività dei nostri porti”.

Ed ancora, in tutte le sedi portuali si andava ripetendo che “La Risorsa Mare torna centrale in Italia. Queste innovazioni servono a rendere concreta quella ‘cura dell’acqua’ che abbiamo avviato e a valorizzare il Sistema Mare, che è uno dei nostri principali asset economici, attraverso il quale transita il 70% delle merci italiane”. Intanto, a distanza di quasi cinque anni, ancora si parla di “semplificazioni” e Guido Nicolini, presidente di Confetra, lancia l’allarme sul peso burocratico che aziende della logistica e dei trasporti devono sopportare (quasi 30 miliardi di oneri burocratici l’anno).

“Sono 133 i procedimenti vigenti – continua Nicolini – in tema di controlli sulla merce, solo in ambito portuale, e in capo a 13 diverse pubbliche amministrazioni; mentre nel settore della logistica, gli adempimenti  amministrativi su merci e vettori arrivano a oltre 400, coinvolgendo 30 uffici o enti pubblici”. Oggi, con la Ministra Paola De Micheli si sta portando avanti una revisione del Codice degli Appalti,  un piccolo pacchetto di pochi articoli per iniziare: verifica di anomalie dell’offerta, appalto integrato, criterio del minor prezzo, quantificazione delle stazioni appaltanti; misure che  non devono smantellare il codice, ma ottimizzarlo e renderlo più efficiente.

Mentre per i 5Stelle, in tempi Covid-19 per la ripartenza dell’Italia, occorrerà stoppare il Codice degli appalti per tre anni, con gli amministratori di Anas e RFI commissari delle opere, supervisionati però da un commissario politico. Sull’altro fronte, l’Autorità Nazionale Anticorruzione afferma che non è possibile estendere il c.d. “modello Genova” per farlo diventare un “modello Italia”, proprio perché a Genova si è trattato di una deroga a tutte le norme extra-penali; semmai, per la ripartenza, servono semplificazioni normative, che devono però essere ben circostanziate per evitare i rischi di infiltrazioni criminali o di illeciti.

Mentre si discute di tutto – vedi la generalità degli Stati Generali – l’Italia non riparte e rimane bloccata. Lo afferma l’Ance, l’Associazione nazionale dei costruttori edili, e ricorda che le opere bloccate, tra grandi e piccole, sono in tutto 749: il 63% al Nord, il 15% al Centro, il 22% al Sud; opere del valore di circa 62 miliardi e con una perdita di quasi un milione di posti di lavoro. Il turismo non riparte; molti aeroporti hanno dimezzata l’operatività di vettori per voli domestici ed internazionali importanti ed tutto rimandato al 2021, coronavirus permettendo.

Abele Carruezzo