Dopo i porti della Grecia ora si privatizzano anche quelli della Spagna

Sulla scia della riforma portuale ellenica che ha permesso di privatizzare gli scali marittimi più importanti, segue anche la proposta spagnola con obiettivi di sviluppo più per competere con i porti del Sud Mediterraneo. Lo scorso 30 aprile, il Governo di Madrid ha approvato il Programma delle riforme del 2014 dove sul settore marittimo portuale è stato inserito un emendamento atto a favorire la partecipazione dei privati nella gestione dei porti.

La Spagna, in questi ultimi anni, è stata impegnata in più riforme che hanno riguardato il settore portuale; prima si è riformata l’organizzazione del lavoro portuale; poi si è passati all’elaborazione di un Piano delle infrastrutture-trasporti come strumento per ottimizzare l’utilizzo delle capacità esistenti, coniugando servizi di mobilità con l’efficienza economica; sul fronte della logistica, proprio nello scorso anno, è stato approvato il Piano della Strategia Logistica per migliorare l’efficienza e la sostenibilità del sistema dei trasporti e sviluppare la rete intermodale del Paese; per valutare queste nuove riforme e per controllare la spesa pubblica, il Governo di Madrid ha istituito un Osservatorio del Trasporto e della Logistica.

Ora, lo stesso Governo, ha approvato, nei giorni scorsi, gli indirizzi di programmazione per la nuova legge sui porti e nelle premesse sono elencati motivazioni, obiettivi e strumenti. Le motivazioni tecnico-politiche: alimentare la ripresa economica in questi tempi di crisi e con scarsità di fondi pubblici, ridurre investimenti improduttivi in eccesso rispetto al mercato, riqualificare strutture per servizi portuali; gli obiettivi: ridurre i costi della gestione e dei servizi portuali al fine di competere con i porti vicini, Tanger Med in Marocco e Sines in Portogallo, risolvere il passivo delle finanze pubbliche.

Come strumenti, gli indirizzi di programmazione prevedono una nuova governance delle Authority spagnole con il graduale ingresso di privati nella gestione, adeguamento della legislazione spagnola alle proposte normative della UE, meno burocrazia per favorire la gestione imprenditoriale; per aumentare la concorrenza fra porti e fra operatori all’interno dei porti (politica dei costi dei servizi), si faciliterà il finanziamento degli accessi ferroviari e stradali nei porti, più incentivi per i finanziamenti privati -rivedendo il regime concessorio- nei porti di interessi generali, più autonomia degli operatori portuali nell’organizzazione dei propri fattori di produzione; si attueranno le aggregazioni fra autorità portuali generali in un ente governativo-Puertos del Estado- (Porti dello Stato) e diverse autorità portuali a forte autonomia e con specifiche e mirate funzioni portuali di interesse internazionali.

Comunque, il piano di programma non risponde ad un modello di privatizzazione completa delle varie autorità portuali, ma è un  inizio verso una governance che prima apparteneva solo ai porti dell’Europa settentrionale. Il documento di indirizzo del Governo di Madrid è stato spedito a Bruxelles per essere valutato dalla Commissione europea per l’approvazione tecnico-amministrativa e se risponde ai parametri economici. Anche in Italia il dibattito sul tema della portualità sta divenendo complesso; e certamente non si potrà facilmente cancellare una identità marittima, una storia di navigazione e di porti.

Infatti, ultimamente a Brindisi, durante lo svolgimento del Salone Nautico della Puglia, si sono confrontate le proposte governative del Ministro Lupi con quelle del Pd in rapporto alla domanda di trasporto da parte dell’utenza portuale (presenti massimi dirigenti di Federagenti e Fedespedi ed i presidenti di Ap di Bari, Brindisi e Taranto): sono state messe in evidenza le difficoltà normative e burocratiche per fare “sistema” fra Authority di più porti, mantenendo allo stesso tempo quella peculiarità funzionale di un territorio marittimo.

E’ stato sottolineato che un porto, oggi, non è più solo lo spazio fisico entro il quale gli operatori portuali si occupano della movimentazione delle merci in condizione di sostanziale monopolio; ma il concetto operativo di un porto si sta evolvendo  in un “ente” economico in concorrenza con gli altri scali per l’attrazione dei traffici. Una riforma  deve e dovrà avere chiari gli obiettivi minimi: mettere in condizioni le Ap di fare scelte rapide per aumentare la competitività; regolamenti chiari per poter rispettare le regole europee per la libera prestazioni di servizi portuali e soprattutto un controllo trasparente sulla gestione delle stesse e come pure evitare la politicizzazione delle nomine. Vedremo la scelta dell’Italia: sarà valido il modello di governance dell’Europa settentrionale o quello spagnolo o ellenico.

 

Abele Carruezzo