Commissione UE: il numero delle Autorità portuali va ridimensionato

Ancora una volta siamo presi da discussioni “estive” che ventiquattro Autorità Portuali in Italia sono troppe. Questo si afferma soprattutto a livello europeo; come per dire che tutti i “teoremi” enunciati in Commissione UE sono “vangelo e verità”. Non si guarda al numero delle AP di Spagna, Francia, Portogallo, Germania, Inghilterra, ma solo a quello italiano. Mentre dovremmo pensare e proporre piani operativi per riequilibrare la fortissima competizione con la portualità del Nord Europa; porti meglio attrezzati a cogliere le opportunità di sviluppo (le previsioni di traffico al 2018 indicano una ripresa consistente dei traffici).

In Italia si pensa solo a proposte per accorpare le Autorità portuali, per realizzare porti multiscalo, per acquisire una dimensione europea, coerente con gli indirizzi normativi e gli orientamenti istituzionali che l’Unione sta progressivamente chiarendo. Porti e aeroporti costituiscono “sistemi-motori” importanti per rivitalizzare una competizione seria della nostra economia. Non basta solo sostenere che l’Italia deve sfruttare la sua posizione geografica favorevole a una logistica dei trasporti marittimi che sappia intercettare flussi merceologici che stanno polarizzando la nuova organizzazione economica internazionale.

Due fatti marittimi importanti incideranno nei prossimi anni: continuerà la crescita della rotta fra l’Asia e l’Europa, impoverendo per volumi di traffico e di merci sempre più quella dall’America; l’altro, l’operatività del Canale di Panama ampliato; questi fatti potranno determinare significative discontinuità nella competizione tra le piattaforme logistiche dei vari continenti. Da molti anni si sta affermando di abbassare il baricentro dei flussi trasportistici sempre più a sud dell’Europa per agevolare lo shipping mediterraneo, favorendo le varie realtà portuali comprese quelle dell’Italia. Tutto questo è diventato come la globalizzazione, l’internazionalizzazione delle imprese, dei luoghi comuni e titoli di vari progetti che puntualmente proposti, pagati, pubblicizzati e rimasti sui vari desk istituzionali.

Marittimizzare l’economia di un territorio dovrebbe essere strategia istituzionalizzata per tutti i settori merceologici, per recuperare il controllo della logistica, puntando sui servizi di qualità-sicurezza, con una vision condivisa. Ancora  il sistema marittimo italiano rappresenta una parte rilevante della nostra economia, superiore ad altri comparti industriali, e che riesce a mobilitare merci e persone; eppure soffre di una comunicazione parziale, poco reale e ingannevole nell’immaginario collettivo. Per un porto non si tratta solo di navi passeggeri e quante; come pure non si può misurare l’efficienza portuale dal numero dei container (teu) movimentati. In Italia molta della sua economia si mantiene sulla movimentazione delle merci rinfuse (solide e liquide) con un’incidenza molto consistente del loro traffico a servizio dell’industria siderurgica.

La competizione fra porti oramai non si gioca più a filo di banchina, ma sulla terraferma e sulla retroportualità. Per i porti italiani non si tratta più di attrarre quanto più possibile fondi pubblici per progetti e infrastrutture che non servono al porto, alla città ed alle navi, ma puntare le economie a migliorare le proprie reti di collegamenti tra porti e luoghi di destino delle merci. Alla politica, dopo le estenuanti discussioni, un piano serio d’investimenti per un’adeguata mobilità di merci e persone.

 

Abele Carruezzo