Marittimi: denuncia dell’Apostolato del Mare

ROMA – Marittimi italiani e non sono i nuovi “schiavi” di un lavoro che l’Italia non riconosce fra quelli usuranti; ma in compenso, per il Codice della Navigazione, la pensione può essere anticipata di cinque anni. Come dire che l’andar per mare è solo una “passeggiata” tra sole e mare. L’intero settore del lavoro dei marittimi sta assumendo nuove forme di schiavitù e quindi soffre la non esistenza di una “rete” operativa che possa tutelare i diritti di questi lavoratori.

Il convegno nazionale dell’Ufficio della Conferenza Episcopale Italiana per l’Apostolato del Mare, terminato quest’ultima domenica a Roma, ha posto un focus su questo settore lavorativo importante per l’economia dei paesi costieri. Mons. Nunzio Galantino, segretario generale della CEI, ha presieduto il convegno cui hanno partecipato circa sessanta delegati, tra cappellani di bordo, sacerdoti che operano nelle “Stelle Maris” nei porti e rappresentanti dei diversi settori lavorativi dei marittimi.

Un comparto che conta ottocentomila lavoratori e 185 mila aziende, senza contare il sommerso; un sistema mare che comprende marittimi, pescatori, imprese ittiche (il 70% a conduzione familiare) che operano in Italia.

“Il mare è vita”, ha detto, aprendo i lavori, don Natale Ioculano, direttore dell’Ufficio; ma il mare è interessato anche da problemi scottanti come l’accoglienza dei migranti e l’inquinamento del mare. “I marittimi che lavorano sulle navi container, su quelle da crociera o su  imbarcazioni da diporto hanno di fronte situazioni di sfruttamento lavorativo e scarsissime tutele previdenziali e sanitarie – isolamento, stress, rischio conflitti a fuoco, sequestro e morte a causa della pirateria in alcune zone del mondo – ”, è stata la denuncia forte consegnata all’assemblea da parte di molti operatori ed esperti del settore. Hanno rilevato che molti servizi ausiliari alla nave sono appaltati a equipaggi extracomunitari, sottopagati e con poche tutele lavorative e i marittimi italiani continuano a essere sempre pochi. Anche per chi lavora sugli yacht, non sono rose e fiori.

Non tutti sono in regola, e vivono per lungo tempo in pochissimo spazio e se si ammalano, sono sbarcati; non hanno una copertura previdenziale, né indennità di mobilità o di disoccupazione. Alcune agenzie armatoriali usano “bandiere ombra” (inglese, belga e maltese) per non mettere in regola i lavoratori. Oggi, per prevenire rischi di attentati, in alcuni porti scalati da molte navi, ai marittimi siriani è stato vietato loro il permesso di scendere a terra; per tutti gli altri il permesso vale dalle otto alle venti; non possono avere momenti di svago a terra, visitare le città, telefonare o mandare un’e-mail a casa, fare piccoli acquisti per i familiari.

Il documento finale del convegno rileva che per aiutare questi marittimi servirebbero delle “buone pratiche” in ogni città di mare, con politiche di welfare e servizi alla persona a livello professionale, non solo con il volontariato dell’Apostolato del Mare. Il settore ittico, poi, è quello che soffre di più, con marittimi cinesi, senegalesi imbarcati e con contratti a dodici mesi e quindi impossibilitati a rientrare a casa. Mentre per le aziende ittiche a conduzione familiare, è stato denunciato come alcune situazioni non sono per niente tutelate.

Ci si riferisce a mogli, figli e parenti che, guidando furgoni con il pescato da portare al mercato, aiutano i marittimi nel lavoro quotidiano e stanno lottando per vedersi riconosciuto un tale servizio utile alle imprese ittiche. Occorre una politica “nuova” tra operatori del mare e istituzioni preposte a tutelare un tale lavoro e i rappresentanti al convegno hanno rilevato che oramai il “fermo biologico” è superato e non ha più motivo di esistere, viste le tante circolari Ue che, in effetti, bloccano i pescatori.

A conclusione, il segretario generale della CEI, Mons. Galantino, ha sottolineato lo stile cristiano fatto di gesti e fatti: “Difficilmente riusciremo a incarnare lo stile cristiano se ci faremo contagiare dalla paura, pigrizia, indifferenza. Se non ci rimbocchiamo le maniche per inventare gesti, fatti, che strappino gli ultimi alle onde, non solo delle acque, ma dalla cattiveria, resteremo lontani da uno stile cristiano veramente accettabile”.

 

Abele Carruezzo