Porti: UE decide la politica portuale italiana

Recentemente l’Unione Europea è stata interessata dalla Commissione “Porti: un motore per la crescita” con proposte di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda il quadro normativo per l’accesso al mercato dei servizi portuali e la trasparenza finanziaria dei porti. Ci preme rilevare le novità proposte che descriveranno il futuro dei porti e far notare la dimensione esclusiva europea circa le decisioni di politica portuale; e non come qualche membro, isolato, di un Comitato portuale di un porto, solo bagnato e non navigato, crede nella sua verità di decidere per lo sviluppo del suo porto.

Un dato certo da ricordare è quello che tre milioni di lavoratori direttamente o indirettamente sono impegnati nei porti dell’UE e si prevede, entro il 2030, un aumento del 50% delle merci gestite dai porti. La prima proposta è di incoraggiare le misure proposte sui 319 porti che fanno parte della rete transeuropea di trasporto (TEN-T), lasciando agli Stati membri la possibilità di applicare il regolamento proposto ad altri porti; (così più porti del basso Adriatico non sono nelle priorità dell’UE).

Modernizzare i servizi portuali e attrarre gli investimenti nei porti, garantendo il libero accesso al mercato e rafforzando la trasparenza finanziaria, ma lasciando al tempo stesso un notevole margine di autonomia per le autorità portuali; (considerare che a giugno 2013 sia già partito il dialogo sociale europeo per il settore portuale per assicurare una maggiore coerenza della gestione ambientale dei porti e non si conosce chi dialoga per il basso Adriatico e che cosa!). Si sta discutendo sugli “obiettivi dinamici”, ancora non adottati: parametri legislativi sulle concessioni, proposta di regolamento TEN-T e parametri riguardanti l’accesso di beni e servizi di paesi terzi al mercato interno degli appalti pubblici dell’UE. ( Su questo né Sindaci e/o Presidenti di Regione e nessuna associazione che rappresenti gli enti locali e regionali siano stati direttamente coinvolti).

Si evidenzia che la dimensione territoriale non è esplicitamente presa in considerazione ai fini di uno sviluppo portuale marittimo e soprattutto riguardo a qualsiasi valutazione d’impatto territoriale; ci riferiamo ad un rischio di congestione di mobilità urbana di alcune città-porto per l’acuirsi del fenomeno della containerizzazione senza una “logistica” adeguata anche della retroportualità; cioè esistono delle difficoltà con cui si deve confrontare una politica portuale europea in termini di coesione territoriale. Mentre andrebbe rilevato la diversità dei porti nell’UE, dovuta alla localizzazione geografica, ai diversi tipi di attività economiche, ai differenti regimi normativi portuali e ai diversi quadri politici nazionali applicabili ai porti.

Anche in tema di fondi e progetti europei, si dovrà porre l’accento sulla recente raccomandazione della Corte dei conti europea: “nel prossimo periodo di riferimento, subordinare la concessione dell’aiuto previsto dalla politica di coesione all’esistenza di una strategia globale di sviluppo dei porti a lungo termine (basata sulla valutazione dei bisogni) per tutti i porti dell’area interessata”; e si chiede più determinazione circa il grado di dettaglio delle informazioni che devono fornire le autorità portuali in merito ai finanziamenti pubblici ricevuti, e l’obbligo di tenere conti separati, non siano sproporzionati, specialmente per quanto riguarda le strutture dei costi, che variano enormemente in funzione della localizzazione dei porti. Con il governo delle “larghe intese” si profila un “autunno” di piena estate come il “documento politico” prodotto dai camalli di Genova lascia intendere, mentre gli altri porti della piattaforma italiana sono impegnati nel dialogo sociale.

 

Abele Carruezzo