Caso dei due “marò”: il sequestro dell’Ambasciatore italiano

Come si deve chiamare una simile limitazione della libertà di un uomo se non con la sua denominazione chiara e senza equivoci e cioè “sequestro”. Fatto grave se poi si sta parlando di un Ambasciatore di un Paese che democraticamente esprime una “costituzione” di un popolo libero. L’ambasciatore italiano in India Daniele Mancini è stato invitato a non presenziare all’udienza del prossimo 19 marzo presso la Corte Suprema indiana, ma basterà soltanto che invii una memoria; e per questo tutti gli aeroporti sono stati allertati per evitare che lasci l’India senza un lasciapassare della Corte.

Questo “sequestro” ha avuto luogo perché è stato proprio il diplomatico italiano a firmare una dichiarazione giurata, come garanzia di un successivo ritorno dei due Marò, rappresentando l’Italia.; la vicenda è sempre quella dei due soldati italiani Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, accusati di aver ucciso due pescatori perché scambiati per pirati ed ancora vicenda tutta da dimostrare. Questa presa di posizione da parte della Corte Suprema indiana è arrivata dopo la decisione del Ministro degli Esteri Italiano Terzi di non far rientrare più  i due fucilieri che avevano avuto un permesso speciale per esplicitare il diritto di voto.

Il caso ora diventa complesso dal punto di vista diplomatico ed internazionale: poiché si tratta di un “sequestro” di un ambasciatore, l’articolo 29 della Convenzione di Vienna stabilisce la totale immunità diplomatica dell’ambasciatore che non può essere sottomesso ad alcuna forma di fermo o arresto. In sostanza, il governo di New Delhi contravverrebbe ad un patto internazionale le cui sanzioni politiche ed economiche sarebbero altissime. Ma il gesto eclatante e mediatico messo in campo dal governo indiano forse dimostra che l’India a livello internazionale è più decisa e responsabile dell’Italia?

 

Abele Carruezzo