Intervista esclusiva al Prof. Ugo Patroni Griffi, presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale

Prof. Ugo Patroni Griffi, presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale

Le Comunità Energetiche portuali per rendere competitivi i porti italiani

IL NAUTILUS dedica l’Oblò del mare all’intervento del presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale, Prof. Ugo Patroni Griffi, alla tavola rotonda su ‘Le comunità energetiche in ambito portuale’. Nel ringraziare il Presidente dell’AdSPMAM, si propone l’intervista esclusiva ricca di riflessioni importanti sulle nascenti CER portuali.

“ Non si discute più del tema delle CER, ma del come realizzarle”, ci ha riferito il Prof Patroni Griffi, nell’illustrare questo complesso argomento.


“Oggi – ha detto Patroni Griffi – l’importante è avere un approccio olistico, fortemente cooperativo, attraverso un potentissimo strumento non monopolizzante di partenariato pubblico-privato: queste sono infatti le comunità energetiche. Le esigenze energivore di un porto sono grandi e vanno sommate a quelle degli operatori e del naviglio; con il cold ironing, una grande nave da crociera, ferma in porto per 10 ore, consuma circa 20 megawatt e con due navi attraccate si arriva a 40 megawatt, quasi l’intero bisogno energivoro di una città di circa 100 mila abitanti. Abbiamo avuto una buona legge, quella sulle comunità energetiche, che però va migliorata quando ci si riferisce alle infrastrutture portuali”.

Presidente Patroni Griffi, in questi ultimi mesi le cd. ‘Comunità Energetiche’sono diventate un soggetto nuovo – di derivazione unionale –  per il mercato energetico italiano. Il legislatore con tale disciplina di settore per le Comunità energetiche portuali, intende soddisfare le grandi esigenze energivore di tali infrastrutture e di fungere da volano della portualità e della retroportualità stimolando un modello sostenibile di porto (green port) e retroporto. 

“La strategia energetica della UE è definita dal CEP (Clean Energy for all European Package) composto da quattro direttive, e quattro regolamenti. Nella strategia europea è centrale il ruolo dei consumatori finali, cui viene offerta l’opportunità di produrre e vendere autonomamente l’energia, anche collettivamente. Le direttive UE RED II e IEM, appunto, introducono modelli innovativi e cooperativi di gestione collettiva dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, e impegnano gli Stati membri a sostenerne la diffusione. L’azione della UE appare del resto coerente anche con settimo Obiettivo di Sviluppo Sostenibile, definito dall’Organizzazione delle Nazioni Unite: “assicurare a tutti l’accesso ai sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni”. 


“Le CER – continua il presidente Patroni Griffi – rappresentano un soggetto nuovo per i mercati energetici; sono imprese basate su un “modello democratico” di governo, in cui le decisioni sono prese dai membri della comunità in modo indipendente e autonomo, che possono collaborare con altri attori del mercato, senza che questi debbano diventare necessariamente membri della comunità”.

Presidente, in Europa, a Brema e a Rotterdam sono impegnati non solo nella movimentazione dei carburanti, ma anche alla produzione di energia, con aree e banchine dedicate solo alla transizione energetica e che servono anche le zone circostanti; in Italia come sono state recepite le CER?


“Il legislatore italiano ha introdotto dapprima una disciplina transitoria delle CER; poi è stata modellata sulle esigenze di piccoli gruppi di consumatori decisi a condividere l’energia prodotta dagli impianti di alcuno di essi (che essendo anche consumatore è chiamato “prosumer”). Stiamo parlando di uno strumento per contrastare la cd “povertà energetica” che già prima della pandemia e della guerra in Ucraina affliggeva oltre due milioni di connazionali. Nel 2021 e nel 2022, il legislatore è intervenuto rilanciando ancora le CER con l’obiettivo principale di fornire benefici ambientali, economici o sociali ai soci o membri o alle aree locali in cui opera e non quello di realizzare profitti finanziari; in più la comunità sia un soggetto di diritto autonomo e l’esercizio dei poteri di controllo faccia capo esclusivamente a persone fisiche, PMI, enti territoriali e autorità locali, ivi incluse le amministrazioni comunali, gli enti di ricerca e formazione, gli enti religiosi, quelli del terzo settore e di protezione ambientale nonché le amministrazioni locali situate nel territorio dei Comuni in cui sono ubicati gli impianti di produzione condivisi; inoltre, per le imprese, la partecipazione alla CER, non possa costituire l’attività commerciale e industriale principale; la partecipazione alle CER sia aperta a tutti i consumatori, compresi quelli appartenenti a famiglie a basso reddito o vulnerabili”.  

Presidente, per le Comunità Energetiche Portuali, si va verso l’assetto definitivo?  


“Con la delibera 727/2022/R/ee l’Arera ha adottato – in attuazione dei decreti legislativi 199/21 e 210/21 – il TIAD (Testo Integrato Autoconsumo Diffuso), vale a dire il testo unico che regola le modalità per valorizzare l’autoconsumo diffuso, con indicazioni chiare e semplificazioni procedurali rispetto alla disciplina transitoria. Il TIAD è entrato in vigore il 1° marzo 2023. Per quanto riguarda le grandi infrastrutture energivore e grandi imprese – mi riferisco alle grandi Compagnie di Navigazione, multinazionali – diventa difficile applicare la normativa. La finalità dichiarata dalla legge è di contribuire alla crescita sostenibile del Paese, alla decarbonizzazione del sistema energetico e al perseguimento della resilienza energetica nazionale.

Per i porti viene innanzitutto modificata la l. 84/94 consentendo alle AdSP partecipare a CER, costituite eventualmente in forma societaria, sottoscrivendo anche partecipazioni di maggioranza. Tanto per le CER della difesa, quanto per quelle portuali viene rimosso il limite massimo in termini di MWh degli impianti energetici condivisi”.  


Sicuramente, Presidente Patroni Griffi, stiamo parlando di un’evoluzione in atto del concetto di ‘porto’.


“I porti- sostiene Patroni Griffi – sono tra le infrastrutture maggiormente energivore del mondo, e oggi sono chiamati ad un ruolo da protagonisti nella transizione energetica, favorendo il consumo da parte del cluster di energia green (tassello importante in questa strategia è l’alimentazione da terra delle navi, cosiddetto cold ironing). Gli sforzi delle AdSP presuppongono la disponibilità non solo di energia da rinnovabili, ma anche e soprattutto la competitività del costo della stessa rispetto ai carburanti fossili.

Di qui l’intuizione del MIMS di introdurre le Comunità Energetiche Portuali a sostegno delle esigenze energetiche sia dell’intero cluster portuale (imprese portuali, compagnie portuali, agenzie, servizi tecnico nautici, armatori, Guardia Costiera etc. etc), sia del retroporto (e quindi valorizzabile in ambito Zes o Zfd). I porti, peraltro, stanno divenendo da “emporio” in cui si movimentano i carburanti, a veri hub energetici (stoccaggio e/o produzione di GNL, biocarburanti, idrogeno, energia da economia circolare etc.) favoriti anche dalla diffusione d’impianti rinnovabili collocati in mare (parchi eolici offshore e near shore, energia da moto ondoso, fotovoltaico galleggiante, FSRU). Non sorprendentemente, pertanto, i documenti di pianificazione energetica e portuale (DEASP) più recenti valorizzano l’utilizzo delle CER”.


Come può essere costituita una CER portuale e quali problemi s’incontrano.

“La costituzione di una CER portuale presuppone la preliminare definizione di aspetti energetici, finanziari e giuridici. Le CER, in generale, e quelle portuali non fanno certo eccezione, sono ‘modelli organizzativi’ che hanno bisogno di nuove metodologie gestionali, organizzative e produttive. Sotto il profilo della pianificazione energetica è necessaria la stima dell’adeguato dimensionamento degli asset energetici rispetto alle esigenze del cluster portuale e retroportuale (su tale profilo soccorre certamente quanto già rilevato nel DEASP), cercando di tenere in equilibrio produzione e consumo (anche per massimizzare la condivisione tanto dell’energia, quanto degli incentivi).  Sulla base delle esigenze potrà poi essere costruito sia il perimetro dei soggetti da aggregare (prosumers e consumers operanti in ambito portuale e retroportuale), sia il piano economico e finanziario di tutti i costi iniziale, compresi quelli per la manutenzione d’esercizio; mentre sul piano dei ricavi andrà calcolato ‘il minor costo per la quota di energia autoconsumata’, gli incentivi, le restituzioni degli oneri di rete e il corrispettivo per la cessione dell’energia alla rete e a terzi”.  


Presidente Patroni Griffi, per finire, queste nuove norme potranno generare dei problemi interpretativi e suggestioni di ‘diritto’ per CER portuali? 

“La transizione energetica vede i porti trasformarsi in veri e propri hub energetici, in cui i carburanti sono movimentati, stoccati e finanche prodotti. In questa prospettiva è necessario un approccio olistico: i vari stakeholders collaborano al fine di soddisfare le esigenze energivore del porto, tenendo d’occhio la sostenibilità: ambientale ed economica. La politica energetica del porto, e quindi delle AdSP, deve mirare a rendere competitivo, anche e soprattutto economicamente, l’approvvigionamento energetico da parte degli operatori portuali, degli armatori e della stessa AdSP. Il porto, del resto, è il luogo in cui si registra il maggior numero di consumers, producer e prosumers di energia. La competitività del costo e dell’offerta energetica è funzione della competitività degli scali. Per questo, la pianificazione energetica portuale non può disinteressarsi degli aspetti produttivi e gestionali.

Il pericolo immanente è che possano determinarsi diritti esclusivi in favore di privati, senza nessuna garanzia che l’attività svolta, in regime di monopolio, concorra a rendere competitivo lo scalo. Insomma, la gestione delle esigenze energetiche del porto (istituzioni, operatori e compagnie) dovrebbe essere strettamente presidiata e orientata non già verso la massimizzazione del profitto del privato, bensì verso la valorizzazione della competitività dello scalo. Congeniali appaiono dunque modelli di cooperazione tra pubblico e privato, ove l’immanente conflitto tra interesse pubblico e privato può essere più efficacemente monitorato, valutato e, infine, composto. Mentre i modelli organizzativi fondati sulla esternalizzazione di servizi (economici e di pubblico interesse) potrebbero pregiudicare l’interesse pubblico alla competitività (interna ed internazionale) degli scali”.

“Infine, conclude Patroni Griffi, esistono alcuni aspetti che dovrebbero essere risolti dal legislatore. Il primo è rappresentato dal perimetro soggettivo dei partecipanti alla CERP, sia dal lato della produzione di energia, sia da quello del consumo. Infatti, né le società energetiche operanti nei porti/retroporti, né per altro verso gli armatori sono, di norma, PMI. E quindi è necessario che la disciplina delle CERP consenta la partecipazione di tutto il cluster, senza limitazioni. Il secondo problema è rappresentato dalla necessità di includere nelle CERP le imprese/istituzioni retroportuali, il che potrebbe essere ostacolato dal limite della dipendenza energetica dalla medesima cabina di alta tensione. Così come previsto per le CER della difesa questo limite andrebbe rimosso”. 

Salutando la redazione, il presidente dell’AdSPMAM, Prof. Ugo Patroni Griffi, nutre una sicura evoluzione della norma, in quanto le criticità evidenziate sono facilmente risolvibili – come afferma – con una ‘minimale-manutenzione’ della normativa e che l’efficienza di un modello solidaristico/cooperativo venga riconosciuta dal legislatore, per ottenere tutti i benefici possibili al fine di dare energia al minor costo possibile alle navi e rendendo così attrattivi e accessibili i porti stessi.

Abele Carruezzo