Intervista esclusiva al presidente dell’AdSP MAO, Zeno D’Agostino

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Il mondo attorno a noi sta cambiando!

IL NAUTILUS, ha avviato una serie d’interviste – Oblò del mare – sul settore dello shipping internazionale e in particolare italiano e mediterraneo per offrire i ‘vari punti di osservazione’ di esperti e operatori del settore dei trasporti marittimi e della logistica.
Innovazione, tecnologia, digitalizzazione, logistica, transizione ecologica sono tutti parte del cielo e dell’orizzonte portuale/marittimo che dimostra che siamo in pieno a una ‘rivoluzione’ epocale. Tutti temi/studio al centro di un dibattito che deve essere guidato per un’Italia bagnata dal mare.

Apriamo l’‘Oblò del mare’ su un Porto europeo – importante come quello di Trieste -capace, per chi viene dall’oriente, di aprire la sua porta per vedere l’occidente non solo come continente, ma come scenario di futuro dello shipping e della portualità europea.

Il Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale (Trieste e Monfalcone), Dott. Zeno D’Agostino, ha voluto dedicare alcune riflessioni sullo scenario attuale dello shipping internazionale e quale migliore occasione per conoscere il mondo dei porti europei, da Presidente dell’ESPO.

Situato nel cuore dell’Europa, nel punto d’incontro fra le rotte marittime e i corridoi europei, Adriatico -Baltico e Mediterraneo, il Porto di Trieste è un hub internazionale di snodo per i flussi dell’interscambio terra-mare che interessano il dinamico mercato del Centro ed Est Europa. L’incontro tra gli assi strategici TEN-T delle “Autostrade del mare del Mediterraneo Orientale” e i corridoi europei Adriatico-Baltico e Mediterraneo determina la crescita.

Trieste, un porto sempre più al centro di un sistema che cresce non solo in termini di traffico e valori economici, ma anche quanto alla struttura societaria e organizzativa con annessi posti di lavoro. dell’intermodalità e lo sviluppo di soluzioni innovative nel campo della logistica e dei trasporti.

Presidente Zeno D’Agostino, nel ringraziare per la Sua disponibilità, inizierei con il successo portato a casa di una ‘quattro giorni’ della Transport Logistic di Monaco di Baviera. Trieste con il suo porto si pone a ‘modello operativo’ per una fattiva gateway dell’Europa e soprattutto un reale sistema logistico regionale.

La nostra presenza a Monaco è stata come giocare in ‘casa’ rispetto ad altri corpi, perché noi comunque lavoriamo al 90% per il mercato estero, per tanti flussi merceologici compreso il petrolio, visto che noi diamo il 40% del petrolio della Germania. La Germania, infatti, è il primo partner commerciale dello scalo giuliano a livello di traffico ferroviario: il 31% dei treni totali (3.000 nel 2022) sono collegati direttamente a questo paese, tra cui quelli da e per Colonia, che con 1.300 treni è la prima destinazione ferroviaria assoluta del porto per numero di frequenze, seguita da Monaco (650 treni) e Karlsruhe (500 treni). Dalla Germania, inoltre, negli ultimi anni sono stati promossi investimenti di portata storica nello scalo giuliano: basti pensare all’intervento di colossi quali HHLA per la gestione della piattaforma logistica attraverso la società HHLA PLT Italy e Duisport, entrato nella compagine societaria dell’Interporto di Trieste con il 15%. La fiera ha offerto in tal senso anche l’occasione per approfondire i prossimi step di queste relazioni privilegiate.

Tutti i giorni della fiera abbiamo riscontrato un interesse importante nei nostri confronti, anzi del Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, a dimostrazione di quanto possa essere operativo un ‘sistema’ e non un singolo porto. Certo, una cosa su cui io insisto sempre perché noi ci chiamiamo tutti Autorità del Sistema Portuale, perché fondamentalmente dal 2015 si sono fuse e in molti casi Autorità portuali. Secondo me anche perché facciamo sistema con ciò che sta e sarà nell’hinterland. Ecco, e quindi se noi andiamo a vedere la mia giornata di oggi, per fare un esempio, sono stato a Cervignano per verificare indefinite potenziali dell’Interporto di Cervignano e quindi nuove aree da sviluppare e quant’altro; vedere il funzionamento, nella free zona, del nuovo stabilimento di British American Tobacco, si comprende benissimo che questa è un’attività, importante e … forse non penso che sia normale per un Presidente di porto.

Alla fine, si diceva prima del modello che riesce a Trieste, inteso non solo come porto, ma con tutto il suo hinterland a ragione di una vera integrazione e non solo le attività classiche. Cioè, tutta la filiera e la domanda intermodale con tutti gli insediamenti logistici e addirittura avviamenti manifatturieri; quindi stiamo mettendo in atto insomma una logistica integrata, diciamo una logistica integrata terra mare.

Presidente, il modello Trieste, cui Lei lavora dal suo insediamento, impone che un porto non sia solo fatto di moli, banchine, ormeggi e piazzali, necessari anche questi, ma soprattutto servizi, tecnologie e competenze. Crede che questo modello possa essere esportato in altri sistemi portuali in Italia?

Il modello è esportabile perché ha una precondizione, che secondo me, esiste in tutta Italia: che nella parte interna, rispetto a quello che è il porto tradizionale – maggioranza dei porti italiani – ci siano infrastrutture dedicate alla logistica e all’intermodalità per una mobilità merceologica sostenibile, come quello realizzato oggi con la British American Tobacco. Riqualificare una serie di aree che avevano perso la loro funzione tradizionale che però, essendo state costruite in passato, ha spesso un’ottima accessibilità stradale ferroviaria. Il problema delle nuove opere, l’urbanizzazione che abbiamo in tutte le aree italiane, è difficile per costruire qualcosa di nuovo. Tempi burocratici lunghi perciò l’idea per noi, qui a Trieste e in tutta l’area di Monfalcone, è stata quella di recuperare ciò che esiste già, e lo abbiamo adeguato.

Spazi importanti sono stati realizzati che magari prima avevano una funzione industriale e che poi magari riqualificati. Mentre per una funzione più logistica si devono costruire ex novo, chiaramente i problemi tecnico-urbanistico-burocratici non mancano. Insomma, a parte Gioia Tauro, mi sembra che un po’ tutti i nostri porti hanno gli stessi problemi. Ecco, per me il modello Trieste è esportabile, perché ritengo, almeno pensando a tutta una serie di porti che stanno in Italia; ognuno di questi porti ha nel proprio raggio di poche decine di chilometri spazi operative, fra strutture logistiche intermodali, che si possono connettere in rete con il porto stesso.

Come Trieste, gateway dell’Europa e della Germania in particolare, anche i porti dell’Adriatico meridionale gateway from/for dell’ Europa e dell’Oriente , soprattutto Bari e Brindisi.

Allora il tema è che i porti del Nord Europa hanno già pianificato il loro futuro, adeguandosi ai cambiamenti climatici. Mentre, noi in Italia, continuiamo a pensare al ‘cambiamento climatico’ parlando spesso in convegni/talkshow, anche se oggi il messaggio green comincia a essere recepito. Noi continuiamo a pensare solo al cambiamento climatico, all’idea dello scioglimento dei ghiacciai e al potenziale sviluppo di nuove rotte dall’Asia all’America.

Il problema vero è che i porti del Nord Europa, per la maggior parte porti fluviali, stanno soffrendo una diminuzione dei pescaggi e poiché l’Armamento pensa sempre più ad aumentare le dimensioni delle navi e la relativa capacità di stiva, ci troviamo di fronte a due fenomeni in totale contrapposizione: navi più grandi che pescano di più e canali portuali con pescaggi in diminuzione. Allora, la nostra presenza in Fiera, con HHLA che sta in Amburgo si trova vicino mare a 100 km e se questa è la tendenza tra 10/20 anni la situazione del livello delle acque per i porti del Nord Europa sarà per loro un problema serio. A maggior ragione, Duisburg che è un porto fluviale interno, fatto di canali che d’estate scarseggiano anche di acqua, dista più 250 km dal mare e per questo si sta razionalizzando e riorganizzando la logistica europea in una chiave che andrà rivalutando i porti italiani, soprattutto quelli dell’Adriatico e anche quelli del Meridione d’Italia. Per questo, in futuro, le navi, per non perdere valore, scaleranno sempre più i porti del sud Europa.


Questo vuol dire che il livello di distribuzione delle merci per il Centro e l’Est Europa favorirà i porti italiani cd ‘ascellari’che possono diventare le gateway per l’Europa. Mentre per i porti di Bari e di Brindisi, ma anche quelli del Meridione d’Italia, occorre riflettere che vi è un altro tema che ci siamo dimenticati e che si chiama ‘Africa’; questo impegna una forte distribuzione delle merci, senza dimenticare la presenza della Cina, per questo la portualità dei nostri porti meridionali sarà chiamata a svolgere il proprio ruolo (che non riguarda solo l’emigrazione), ma che occorre una strategia ‘paese – Italia’ nei confronti dell’Africa per reperire le molteplici opportunità di sviluppo e che a tutt’oggi è assente.


Le sedici Autorità di Sistema Portuale, per molti critici sono molte. Cosa ne pensa a proposito?


Ho sempre considerato utile e molto più importante l’integrazione con tutto ciò che sta dietro un porto, piuttosto l’integrazione con quello che sta davanti;, e questa è stata la nostra filosofia per il Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale: per me è molto importante un’integrazione verticale piuttosto che orizzontale. Infatti, noi su Trieste e Monfalcone stiamo ‘mettendo a terra’ più progetti con una zona industriale, di cui sono anche il presidente, con l’Interporto di Pordenone, l’Interporto di Cervignano e con l’Interporto di Gorizia-SDAG. Fare le integrazioni perche vanno di moda, senza un obiettivo vero, non lo ritengo importante; e per quanto mi riguarda vedo politiche interessanti e importanti d’integrazione verticale piuttosto che orizzontale. Infatti, i grandi gruppi armatoriali più che fare sistema solo fra porti sono impegnati a fare sistema fra i porti e tutta la loro retroportualità.

Lo dimostra questo periodo che stiamo affrontando problemi non banali nei processi che riguardano processi d’integrazione verticale degli Armatori, visto che oggi sono in una situazione finanziaria molto favorevole. Quindi, i processi d’integrazione fanno sempre bene, come, nel nostro piccolo, tra Trieste e Monfalcone ha portato grandi benefici,soprattutto per Monfalcone; però preferisco più un’integrazione fra porti e interporti. Infatti, ho sempre sostenuto che un porto non consiste solo in banchine e magazzini, che ovviamente costituiscono l’infrastruttura fondamentale, ma anche nel complesso dei servizi e delle tecnologie e delle competenze che consentono di esprimere il ruolo di hub implicito in un porto moderno.


Presidente, la transizione digitale sta mettendo a dura prova la capacità operativa di un porto. Digitalizzare è solo uno ‘sportello’, un’App o altro?


Noi possiamo dire che Trieste è un porto fortemente digitalizzato e sul fronte tecnologico possiamo dire che il nostro Sistema portuale ha digitalizzato tutte le attività portuali, grazie alla piattaforma digitale PCS, il Sinfomar, un modello unico di Port Community System. Tutta la procedura imbarco/sbarco merci viene controllata dal sistema PCS; oggi, abbiamo inserito, primi in Europa, anche tutta l’attività ferroviaria: il sistema prende in carico dal ‘manifesto nave’ tutta la merce e la trasferisce tramite la ns piattaforma sul treno; il sistema prepara tutta la documentazione doganale e ferroviaria necessaria per l’imbarco e/o sbarco e la trasferisce digitalmente on-line sul treno; in questo modo si ha un’integrazione totale di tutte le attività che interessano il lato mare e il lato terra.


Inoltre, a tutto questo si unisce una risoluzione digitale, di cui siamo orgogliosi, e cioè la gestione delle undici aree interne al porto per la gestione dei servizi d’imbarco dei camion su navi ro-ro che scalano il porto di Trieste e dirette in Turchia. Queste undici aree sono state immesse nel controllo tecnologico e digitalizzato del nostro sistema Sinfomar. I camion non entrano direttamente in porto – il terminalista invia all’autista un avviso di cheek list accettata e lo instrada nell’area, dove troverà tutti i servizi necessari per un’accoglienza adeguata. Dopo la registrazione, il terminalista controlla la disponibilità di uno slot sul piazzale per l’imbarco e/o se la nave è pronta in porto all’imbarco; a quel punto il terminalista decide o perchè ha spazio in banchina o perché la nave è arrivata di emettere il pass digitale, una green light, con cui il camion entra in porto.


Non solo per il traffico ro-ro, ma abbiamo introdotto il cosiddetto `preavviso di arrivo-partenza’, contenente le informazioni necessarie a identificare sotto il profilo logistico, doganale e di security il container/mezzo in arrivo/partenza, la merce trasportata e l’autista. Il preavviso viene gestito digitalmente e può essere accettato o respinto dal soggetto interno alla comunità portuale cui è destinato, che può quindi confermare o meno la correttezza dei dati e contestualmente validarli. Oggi, non si entra nel porto di Trieste per consegnare merce o prelevare senza un pre-avviso e un’accettazione da parte del sistema. Il PCS Sinfomar, verifica la documentazione e, se regolare, emette un codice che l’autista del camion la stampa e si mette in coda per l’ingresso in porto. Da circa un anno, dopo l’avvio di tale sistema per i container e in generale per qualsiasi tipologia di merce, possiamo dire che oggi funziona regolarmente senza creare predite di tempo. (ndr: Il Nautilus del 27 marzo 2018).

I porti europei, la maggior parte, sono già nel futuro – quello a zero emissioni -, Quale migliore strategia per raggiungere tale obiettivo?


L’evoluzione dei combustibili alternativi non si fermerà e i privati stanno investendo molto sia nella fase di transizione e sia per il futuro a zero-emissioni. Però, sono convinto che se non ci sarà anche un intervento pubblico, degli Stati, dell’UE e dell’IMO ci troveremo di fronte a processi molto lunghi, anche se inarrestabili. A prescindere di eventuali tasse sul carbonio, le navi che oggi circolano, con sistemi cold ironing, sono già pronte a usare combustibili green e sono quelle che scalano i porti dove si è legiferato in merito (vedasi i porti della California). A oggi, penso che l’Europa dovrebbe fare una scelta politica, non solo sui combustibili, ma anche sul gigantismo navale che sta creando diseconomie di scala nei porti; infatti, le navi grandi fanno stiva e portano guadagni per l’Armatore e non è detto che recano guadagni per il porto.


Gli Stati, quindi, senza inseguire i grandi processi sui gigantismi navali e grandi infrastrutture portuali, ma se, per il bene pubblico nel rispetto dell’ambiente, che sia una tassa che o altro, dovessero applicare dei regolamenti è bene iniziare a rispettarli, senza deroghe per lo shipping, anche se questo non sarà semplice.
Una riflessione ancora sull’applicazione delle tasse: negli ultimi tre anni i noli sono aumentati vertiginosamente, e nessuno si è lamentato; quella crescita è servita ad aumentare la capacità di stiva; se si applica oggi una tassa è bene che questa serva più a garantire servizi di un porto per affrontare una vera transizione energetica, utile anche agli Armatori.

In un contesto, come quello europeo, occorre avere una strategia portuale unitaria; la difficoltà per crearla non potrà essere un alibi per portare avanti le strategie di ogni singolo Stato membro.


Presidente che cosa accade nel settore della formazione marittima?


Sull’istruzione e formazione marittimo/portuale rispondere alla sola domanda di occupazione non è sufficiente; oggi occorre creare entusiasmo, inseguire una passione, far esplorare ai giovani il mondo del lavoro portuale e marittimo, visitare luoghi e navi con nuovi metodi di comunicazione, stimolando un’identità, entusiasmo. Se tutto ciò non sarà politicamente coordinato, difficilmente avvicineremo i giovani al mare.

Abele Carruezzo

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